Dodici ore di assoluto revival, prima a casa del mitico Passanti, uno dei fondatori del Pentasport, con i ragazzi (si fa per dire) che 30 anni fa folleggiavano (si fa per dire, bis) in piazza Savonarola, dalla parte più tranquilla però, non quella fascista, tanto per capirci.
Poca nostalgia, molti discorsi sui figli, il ritorno per pochi giorni di chi ha fatto fortuna in America, parecchio vino, ma non per me, che sono quasi astemio e che avevo in programma una delle cose più strane degli ultimi anni.
Dopo una notte piuttosto agitata a causa di troppe salsicce, alle quattro e mezzo mi sono svegliato e un quarto d’ora dopo sono partito per le Cascine, dove stamani avevano programmato la corsa all’alba: partenza alle 5.45 e 8 chilometri tra le vie della città più bella del mondo.
Pensavo di essere uno dei pochi bischeri a presentarsi al via ed invece eravamo in più di 600.
Sono così tornato non so neanche dopo quanto tempo al Motovelodromo a cui sono legati gli snodi della mia infima carriera di calciatore, ovviamente prima di essere ammesso per meriti assolutamente non pallonari al Franchi.
E’ lì che nel 1975 decisi di battere il primo calcio di rigore della mia vita, non so neanche perché, visto che me la facevo addosso, ma segnai e me lo ricordo ancora.
E’ lì che ho giocato la partita delle illusioni un anno dopo, perché la più carina della Comunità ebraica il sabato si era messa con me (grande performance: due ore di film mano nella mano!), salvo poi lasciarmi il martedì, uno trauma da cui mi sto riprendendo solo adesso a fatica.
E’ lì che ho vinto i Giochi della Gioventù provinciali col Duca d’Aosta giocando malissimo da terzino e dopo una partita vergognosa sempre in difesa e con un c… grosso così.
Ed è lì che mi è partito per la prima volta il ginocchio sinistro nel dicembre del 1980, proprio lo stesso giorno in cui ammazzarono John Lennon, evento che non so perché ebbe molta più eco sui giornali.
Rientrare in quegli spogliatoi è stato un tuffo al cuore, anche se poi ho preferito non vedere il manto sintetico preferendo ricordare per sempre la sabbia eterna di un campo che nei secoli dei secoli non ha mai visto un filo d’erba.