Mi vergogno di vivere in un Paese come questo, in cui Genny la carogna tiene in ostaggio sessantamila persone, tra cui mia moglie e mio figlio a cui cercavo con difficoltà di dare notizie nel buio telematico dell’Olimpico.
Mi vergogno di aver sempre vissuto onestamente in un ambiente come quello del calcio in cui c’è bisogno di un accordo tra sedicenti capi tifosi per dare il via ad una partita attesa da una vita e che era la vetrina del nostro mondo in decine di Nazioni.
Mi vergogno di aver dovuto spiegare a Cosimo di 7 anni il nesso tra un assalto di delinquenti ad un fioraio finito a pistolettate e un incontro di calcio: da ieri sera a lui la cosa sembrerà normale ed è questa la sconfitta peggiore.
Mi vergogno di essere avere la stessa cittadinanza di chi ha fischiato il nostro inno nazionale e non me ne frega niente se siano stati tifosi della Fiorentina o del Napoli.
Mi vergogno per non aver fatto o detto di più in passato contro i Genny la carogna che ho visto sul mio cammino: anche se sono stato il giornalista più insultato e minacciato dagli anni novanta ad oggi per via delle mie posizioni (Heysel, simboli nazisti di altre tifoserie messi insieme alle bandiere viola, tentativi di contaminazione politica in Fiesole), anche se non me ne è mai fregato niente di tutte le beghe della curva, a volte ho girato la testa dall’altra parte per maggiore tranquillità mia e della mia famiglia.
Perché non sono certo un eroe, non ho mai avuto l’ambizione ad esserlo, sono solo una persona normale, perbene, che vorrebbe lavorare in un Paese civile.
Stamani, ancora più di ieri sera, ho il voltastomaco e non c’entra niente la Coppa Italia persa, quella la vinceremo nei prossimi anni.
La nostra dignità invece temo che non la riprenderemo più, a meno di non chiedere il permesso a Genny la carogna.