Non mi sembra cambiata molto la vita in questa città-paesone rispetto a dodici anni fa.
Buffa la vita e il calcio: sono venuto tre volte in Ucraina e appena una in più negli Stati Uniti.
Se uno si impegna parecchio potrebbe anche trovare qualcosa di interessante nelle chiese, nel fiume, nel mix tra vecchio regime sovietico e tentativo di modernità che ha lasciato le cose a metà, cosa “molto pittoresca” per chi viene da fuori, ma non proprio comodissima per chi ci deve convivere ogni giorno.
Ad inizio ottobre ci sono già i segni dell’inverno italiano, l’illuminazione è un optionale, le strade sono buie e già deserte verso le undici e su tutto quello che anima le rapaci fantasie maschili mi pare che si sia fatto un bel salto in avanti e che la dignità abbia preso il posto della disperazione che costringeva una gioventù molto attraente a vendersi per quattro soldi. Meno male.
Poi c’è la partita, spigolosa e piena di curve, da affrontare con una rabbia ed una concentrazione che non sarà facile trovare dopo le botte di Milano e di lunedì sera.
Sono l’unico tra i colleghi ad avere parecchi dubbi sul fatto che Matos giochi titolare fin dall’inizio, è solo una sensazione a pelle, ma mi pare che sia un po’ troppo: il Dnipro, specialmente in casa, non è il Pacos Ferreira.