Ho avuto l’ennesima dimostrazione di quanto la radio sia più molto più affascinante della televisione.
Pochi minuti fa ho ascoltato l’appello di Daniele Mastrogiacomo e sono sicuro che le sue parole avrebbero avuto meno effetto se le avessi udite in televisione, abbinate all’immagine.
Così invece sono rimasto sorpreso dal tono di Mastrogiacomo: caldo, rassicurante, protettivo con gli altri prigionieri e soprattutto verso la moglie ed i figli Alice e Michele.
Sembrava che stesse parlando dal salotto di casa sua invece che dalla prigione afgana e davvero mi sono detto che non siamo proprio tutti uguali noi giornalisti.
Pensavo alle mie battaglie “epocali” combattute per raccontare la Fiorentina in diretta, ai mezzucci usati dai tanti che sono cresciuti senza gavetta e che pensano di essere chissà chi, ai coraggiosi che spiano dal buco della serratura i vizi dei potenti, a tutti quelli che si sentono star dopo un paio di comparsate in televisione.
Che mestiere strano il giornalismo: con Mastrogiacomo siamo iscritti allo stesso Ordine e se parliamo l’uno dell’altro magari ci definiamo pure colleghi.
Solo che mentre lui racconta da 23 anni le guerre del mondo e ora non sa se rivedrà mai Alice e Michele, io mi prendo del mitico o dell’idiota a seconda di come viene giudicato il mio atteggiamento al telefono con Guidolin.