Dopo il Nuovo Corriere di Firenze, il Giornale della Toscana.
Da domani non esce più e ormai sembra di essere come in un libro giallo: a chi toccherà prossimamente?
A nessuno spero, e comunque io non solidarizzo affatto con l’editore di qualsiasi testata che chiude, perché molte volte dietro a buchi clamorosi ci sono storie torbide che non riesco a capire e di cui si è occupata e si occuperà la magistratura.
E sarà perché da oltre 33 anni ogni centesimo che entra a Radio Blu io sono abituato a sudarmelo, ho sempre mal sopportato la storia dei contributi pubblici per i fogli di partito.
La trovo vergognosa, l’ideale per architettare truffe più o meno legalizzate (do you remember L’Avanti di Lavitola? Quanti soldi ha preso nei decenni La voce repubblicana?) per cui bastano o bastavano, spero, tre deputati che fondavano un movimento politico per fare arrivare milioni di euro a giornali poco più che clandestini.
Questo vale anche per parte dell’editoria radiofonica (ad esempio i milioni pubblici che prende Radio Radicale grazie al fatto di trasmettere in diretta i lavori di Camera e Senato) o televisiva.
Premesso che ne’ il Giornale della Toscana e neanche il Nuovo Corriere di Firenze erano giornali clandestini, ma anzi avevano e mi auguro avranno una propria anima, il mio pensiero va a chi in quei giornali ha sputato l’anima ogni giorno, con lo stipendio che arrivava una volta sì e quattro no.
Comprendo benissimo gli imbarazzi e le sofferenze interiori dei due direttori (Luciano Olivari e Alessandro Rossi) presi in mezzo a due fuochi: da un lato le bugiarde rassicurazioni dei propri editori, dall’altro il sentirsi giornalisti come tutti gli altri che angosciosamente premono, vogliono sapere, sperano nell’happy end.
Dice: nessuno ti ha obbligato a diventare giornalista, ed è vero.
Esiste in questo mestiere una tale mole di offerta che io a volte mi vergogno quando leggo le mail di chi si propone a Radio Sportiva perché ci sono trentenni preparatissimi, che conoscono due/tre lingue, che hanno fatto stage di grande livello, che si sono illusi che si potesse campare col giornalismo, che sono quasi certamente più preparati culturalmente di me.
Non riesco nemmeno a rispondere a tutti, ma quando da anni si frequenta una redazione, quando per un periodo molto lungo si è fatto le nozze con i fichi non secchi, ma proprio impossibili da buttare giù, beh allora la mannaia della chiusura è veramente un cazzotto nello stomaco.
Ed è a loro, solo a loro, ai giornalisti che da domani entrano nel girone dannato dei disoccupati, che va tutta la mia affettuosa solidarietà.