La prima volta che mi dissero di “fare” la Rondinella mi preparai all’avvenimento come se fosse la radiocronaca della finale di Champions.
Era il novembre del 1977, due settimane prima mi ero quasi ammazzato in moto e viaggiavo pieno di lividi e cicatrici, facevo pure un po’ di paura.
Il fatto era che Il Tirreno voleva solo il tabellino della gara e nemmeno una riga di commento, ma io ero lo stesso emozionatissimo: non conoscevo nessuno e scrissi tutto, con annotazioni critiche, mi “sentivo” giornalista a diciassette anni.
Ho frequentato quel campo per almeno tre campionati, ho visto un carismatico giocatore mollare un ceffone ad un gironalista, ho registarto decine di interviste all’allenatore Renzo Melani, che poi a casa sbobinavo per scrivere tre-righe-tre nelle occasioni in cui una squadra della costa giocava contro la Rondine e quindi da Livorno volevano il “pezzo”.
E proprio a quella maglia bianca e rossa devo la conoscenza di uno dei miei migliori amici, Saverio Pestuggia.
Avevo infatti cominciato con Radio Blu e per questo, se dovevo solo compilare il tabellino, dal 1980 in poi cominciai a telefonare a casa di un gentilissimo signore, che molto si intendeva di calcio e che si chiamava Rocco Pestuggia.
Ho voluto molto bene alla Rondinella, lo stesso affetto che oggi di aver provato per la ragazzina a cui davi la mano alle medie, e ho fatto molto poco per lei.
Quando diventò presidente quel fantastico uomo che è stato Fabio Sali, raccontai in diretta a Trento e e a Livorno un paio di salvezze (o promozioni, non ricordo bene, sono passati oltre 25 anni), ma sono lo stesso in difetto, perché ho sempre pensato che la Rondinella bene o male fosse sempre lì, immutata e immutabile.
E ora che l’hanno cancellata senza troppi complimenti, è come se fosse andata via una parte della mia adolescenza.