Nel 1971 Lelio Luttazzi era una specie di Fiorello di oggi.
Un mito alla radio con la sua hit-parade (eh sì, ci si accontentava di poco, all’epoca. Ci bastava aspettare con ansia alle 13.30 del venerdì la proclamazione della canzone regina).
Luttazzi era un gradevole intrattenitore in tv, con i vari Studio Uno e altre memorabili trasmissioni in bianco e nero.
Un’intercettazione telefonica riguardante Walter Chiari lo coinvolse in un giro di cocaina a cui era completamente estraneo, con l’aggravante che l’amico, poi diventato ex, non fece niente per scagionarlo.
Furono incarcerati e dopo pochi giorni rimessi in libertà, fu uno scandalo di enormi proporzioni e da quel momento vennero messi (Chiari momentaneamente) al bando dalla Rai bacchettona di allora.
Aveva 50 anni e si ritirò dalle scene, lo avremmo rivisto solo nel 2006, proprio con Fiorello.
Lapo Elkann pare sia diventato un mito e non si sa bene perché.
A quindici mesi di distanza dalla triste vicenda di Torino, ora è diventato un maestro di pensiero per i trentenni e si augura che “tutti i ragazzi come me possano dire quello che pensano perché io sono un ragazzo come tutti gli altri”.
Forse la degenerazione dei nostri tempi nasce proprio dalla facilità con cui creiamo (e poi distruggiamo) dei personaggi: ma che diavolo ha fatto Lapo Elkann per conquistarsi così presto un’altra possibilità, per diventare qualcuno a cui viene chiesto un parere su tutto?
Non dovrebbe essere molto più lungo il periodo dell’oblìo?
Mi piacerebbe leggere i report commerciali sull’andamento del suo marchio di occhiali per vedere se l’azienda guadagna o se le perdite vengono coperte dal contributo personale del socio di maggioranza.