C’è una notizia nella notizia che mi ha dolorosamente colpito: la morte di due commercianti che non hanno più retto il peso dello stress e della vergogna sociale del fallimento.
Il motivo del mio malessere è il fatto che a questi due suicidi erano dedicate poche righe all’interno dell’articolo sulla figlia quindicenne che aveva salvato il padre dalla morte per impiccagione.
Abbiamo dunque sdognato la disperazione: ormai chi si ammazza per i soldi entra nelle brevi di cronaca.
E’ terribile e dovremmo costruire un argine morale e psicologico a tutto questo, perché è chiaro che il 95% delle persone che si toglie la vita avrebbe avuto da vivere, solo che non ha retto il contraccolpo di una crisi che ti obbliga a pensare di privarti di qualcosa, invece che allargare sempre i tuoi orizzonti.
Ci si ammazza per una presunta dignità perduta e intanto molti di quelli che restano si angosciano, si rinchiudono in se stessi, tirano su il ponte levatoio e diventano sempre più gretti, più avidi.
La mia più grande preoccupazione non è quello che lascerò ai miei tre figli, che avranno molto di più del niente che hanno lasciato a me, ma quella che sarà la loro costruzione mentale: come vedranno il futuro?
Noi eravamo un po’ bischeri, ma ottimisti.
Vivevamo alla giornata, con uno spirito di fare, provare, che se ci penso ora non mi pare sinceramente così lontano da quello sono adesso, però non c’era chi tutti i giorni ti ammoniva che domani andrà peggio.
E’ questa la più grande sconfitta della nostra generazione.