Renato Curi era un giocatore molto più “importante” di Piermario Morosini e Perugia-Juventus una gara che valeva lo scudetto, neanche confrontabile con Pescara-Livorno.
Eppure il dramma di quel giorno a Perugia durò lo spazio di una settimana e alla fine diventò solo un ricordo: il “povero Curi”.
Così è stato anche per la scomparsa di Giuliano Taccola negli spogliatoi di Cagliari nel 1969 e si parla di un centravanti di serie A (giocava nella Roma) in odore di Nazionale: a quanto ne so c’è una vedova e una famiglia che vive quasi ai limiti dell’indigenza e che nessuno ha mai aiutato sul serio.
Per Permario Morosini è invece e per fortuna scattata una mozione di affetti a cui io stesso non riesco a sottrarmi perché a distanza di oltre 24 ore ancora penso al suo tentativo di rialzarsi, una, due volte, quasi una metafora di tutti i colpi ricevuti in nemmeno 26 anni e da cui invece era riuscito a tornare in piedi.
Questo ricordo è una cosa unica, molto bella nella sua struggente drammaticità e non è facile cercare di capire perché questa tragedia ci ha colpito più di altre storie che vanno dritte al cuore.
Non vorrei esagerare, ma mi pare che sia simile al Vermicino nel 1981 e forse c’entra la diretta televisiva (nel 1969 e nel 1977 neanche lontanamente immaginabile) o forse è la nostra voglia di respirare qualcosa di pulito in mezzo al tanto fango in cui è immerso il calcio.
Ora che i fatti cominciano a cristallizzarsi, adesso che non è più cronaca, penso e spero che la morte di Piermario Morosini sia una specie di spartiacque per l’assistenza agli atleti, tra ciò che era prima e ciò che auguriamo sia da domani in poi.