Con la mia solita testa rivolta al passato viola, pensavo ieri che in fondo Baggio e Borgonovo sono stati insieme solo una stagione.
Un campionato neanche troppo esaltante, se guardiamo alla classifica finale.
Perché l’Uefa venne centrata solo col settimo posto e al termine di uno spareggio in nessuno dei due segnò, lasciando a Pruzzo l’onere e l’onore del gol.
Eppure quei dieci mesi sono rimasti dentro a tutti quelli che c’erano e devono essere planati in fondo al cuore di questi due ragazzi, oggi signori di quasi mezza età che non resistono al richiamo di un ritorno a Firenze.
Poi c’è l’amicizia vera tra loro, un filo che non si è mai perso nel dipanarsi delle rispettive carriere e (s)fortune della vita, ma questo è un altro discorso.
Quello che vorrei provare a spiegare a chi oggi conduce in campo e fuori dal campo la Fiorentina è che non occorre vincere scudetti e neanche forse arrivare quarti (che non è come vincere uno scudetto…) per entrare nell’anima dei tifosi.
Basta molto meno sul piano tecnico, ma molto di più su quello dei rapporti.
Basterebbe vivere la Fiorentina in modo genuino, anteponendo il noi all’io e condividendo il viola con chi ama questo colore a prescindere dai nomi e dai risultati.
Esattamente come fecero Roberto e Stefano ventidue anni fa.