Nel giorno delle dimissioni di Carraro (finalmente, ma Galliani che aspetta?), mi è sembrato giusto ed istruttivo riproporre quello che scrissi ne “La mia voce in viola” nel 2003. Il periodo di riferimento è quello della stagione 2001/2002, con Mancini, che allora era sotto contratto con la Gea.

SCUSE E SPIEGAZIONI
Ho sempre considerato Stefano Sartoni, il leader storico del Collettivo, una persona leale con cui a volte posso anche non essere d’accordo e mi piace che sia un tipo che non sfugge mai al contraddittorio.
Fu solo per questo rapporto speciale che accettai di partecipare all’incontro che mi propose, un incontro strano con Gaetano Lodà e Dimitri Rocchi proprio nel locale dove io non sarei mai potuto entrare perché indesiderato.
Chiesi a Luis Laserpe di accompagnarmi, sia per precauzione che per avere un testimone.
Ero molto arrabbiato con Lodà, che mi fece correttamente le scuse per ciò che era successo il giorno delle dimissioni di Terim ed anche per quel cartello che lui considerava solo una goliardata.
Cominciammo quindi a parlare del futuro della Fiorentina e mi venne disegnato uno scenario assolutamente inedito, quasi da fantapolitica calcistica.
Lodà, Rocchi e Sartoni esibirono fogli e documenti degni del miglior giornalismo investigativo. Considerandomi (bontà loro) una voce importante per i tifosi, volevano che anch’io fossi a conoscenza di come la società viola stesse inevitabilmente andando verso la rovina.
Mi dissero che i giochi non si facevano a Firenze, in piazza Savonarola, ma a Roma, dove sul pianeta calcio regnava incontrastato il banchiere Cesare Geronzi.
Lo stesso arrivo di Mancini era stato “impostoâ€? dalla GEA (la società che cura gli ingaggi e i diritti di immagine di diversi calciatori e allenatori e di cui fa parte anche la figlia di Geronzi), per cui non ci dovevamo stupire delle cifre concesse ad un tecnico esordiente.
Uscii da quelle tre ore di colloquio perplesso e turbato: e se avessero avuto ragione loro?