Serata al Doccia, luogo della mia massima espressione calcistica: seconda categoria, trent’anni fa, pensa un po’ te…
Siamo tutti lì, e siamo in tanti, per salutare Cesare Ugazzi, che se ne è andato senza un perché più di un anno e mezzo fa e che però continua a vivere nella memoria di chi gli ha voluto bene.
Pur di esserci Ferruccio Ferragamo, che di Cesare era il datore di lavoro, ha lasciato Pitti e tutti le sue luccicanti vetrine e premia visibilmente commosso.
C’è anche Giancarlo Antognoni, l’amico/mito di Cesare, che aveva solo tre mesi più di me e che quindi ha vissuto in pieno i quindici anni del capitano a Firenze.
E qui succede qualcosa che avevo già visto, ma che nelle tre ore dell’evento, un torneo di calcio, si ripete più volte.
Arriva il quaranta/cinquantenne con il figlio accanto, chiede emozionato l’autografo ad Antonio e poi prova a spiegare al ragazzino chi era Giancarlo e cosa è stato per la Fiorentina.
Il ragazzino annuisce, ma si vede chiaramente che pensa ad altro, magari a Melo che se ne va o a Kaka con la nuova maglia del Real Madrid.
Ed è qui che bisogna intervenire, la Fiorentina per prima: recuperare nelle nuove generazione la memoria di ciò che è successo in passato.
Il calcio vive di questi sentimenti e non è possibile che mio figlio tra dieci anni non sappia chi erano Batistuta, Toldo e Rui Costa.
Quando facevo la terza media avevo ben chiaro la Fiorentina del primo scudetto, ero un malato di calcio?
Non credo, visto che eravamo in tanti a recitare Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Rosetta, Segato e via a seguire.
Che oggi si debba spiegare ai tifosi viola di domani chi era Giancarlo Antognoni mi pare davvero il massimo.