Per gentile concessione dell’editore Scramasax. Prossimo libro in uscita il 31 agosto “Fiorentina-Juventus, la partita della vita”

1982/83

C’era rabbia per il mancato scudetto ed esaltazione per avere una squadra con ben quattro campioni del mondo. Fu anche per questo clima euforico che a Radio Blu facemmo una pazzia: ingaggiammo Graziani ad una cifra mostruosa per l’epoca, 250.000 lire a trasmissione, un milione al mese, e senza avere lo straccio di uno sponsor. Ce le rimetteva tutte la proprietà, ma volevamo crescere. E alla fine, crescemmo.

CICCIO BELLO
Francesco Graziani l’avevo già conosciuto grazie a Pecci l’anno prima, in un paio di serate organizzate solo per il gusto di far baldoria. Era meno furbo dell’amico romagnolo, ma dotato di una simpatia più contagiosa, sanguigna, che conquistava tutti. Aveva vinto la classifica dei cannonieri, segnato più di cento reti in serie A ed era, grazie anche alla squalifica di Rossi e l’infortunio di Bettega, l’attaccante più prolifico della Nazionale, eppure era rimasto un uomo semplice nell’anima e sempre fedele alla parola data.
Mi capitò di assistere ad una sua telefonata con Antonio Juliano, direttore generale del Napoli, e scoprii per caso un segreto risalente all’estate 1981. Graziani si era già accordato con Tito Corsi per passare in viola, ma non aveva ancora firmato. Il Napoli lo aveva chiamato all’improvviso per offrirgli lo stesso ingaggio, più una valigia contenente cento milioni al nero. Un altro al suo posto avrebbe almeno rilanciato con i Pontello, lui non disse niente e firmò per la Fiorentina alla cifra già pattuita. In quella telefonata del 1983 Juliano continuava a rimproverarglielo, ma senza malanimo, anche perché voleva portarselo ancora a Napoli.
Parlavamo di tutto, gli piaceva sapere dei miei esami universitari perché rimpiangeva di non aver studiato, mentre a me sembrava di entrare fisicamente nello spogliatoio di De Sisti, del Torino di Radice o della Nazionale di Bearzot. Molte sue previsioni tecniche si rivelarono azzeccate, anche se ne sbagliò una su Massaro. Visto il comportamento che cominciava ad avere fuori dal campo, Graziani era convinto che l’enfant prodige viola sarebbe stato una meteora del calcio, ma non aveva fatto i conti con il ciclone Sacchi, che di lì a poco si sarebbe abbattuto sul calcio italiano travolgendo tutto, compreso il carattere superficiale del Massaro fiorentino. Uno che faceva impazzire De Sisti, adducendo durante la settimana infortuni vari per non allenarsi, salvo poi guarire miracolosamente il sabato pomeriggio.
Con Ciccio diventammo amici, anche perché il tirocinio con Pecci mi aveva fatto bene ed ero diventato molto meno ingenuo nei comportamenti. Sette anni dopo fu bello ritrovarlo a Brema allenatore inesperto e però carismatico di una Fiorentina un po’ sgangherata, capace di conquistare la finale di Coppa Uefa. In un pomeriggio dell’aprile 1983 mi disse che era stanco di una certa aria che sentiva intorno a sé in società e che sarebbe andato alla Roma di Viola. Ero l’unico a saperlo e ancora una volta neanche mi venne in mente di chiamare un giornale per “vendereâ€? lo scoop.

CELESTE NOSTALGIA
Cominciammo bene il campionato, con due vittorie di seguito, sette gol segnati e zero subiti fra Catanzaro e Genoa, ma i nostri eroi erano stanchi e come svuotati dal mancato scudetto. I rinforzi erano tecnicamente scarsi, da Patrizio Sala a Federico Rossi, passando per Bellini e Alessandro Bertoni. L’unico nuovo acquisto veramente forte era Passarella, che però doveva pagare l’inevitabile ambientamento ed in più se ne era andato Vierchwood. L’immane compito di sostituirlo era toccato ad un ragazzone veneto dai modi gentili e dal nome romantico: Celeste Pin.
A fine settembre qualcosa cominciò a scricchiolare pericolosamente. Paolino Pulici, ormai in età da pensione, fece vincere l’Udinese a Firenze con due splendide rovesciate in fotocopia e la gentile collaborazione della coppia Passarella-Pin. Poi ci fu l’ingloriosa eliminazione in Uefa contro i modesti rumeni dell’Università di Craiova, uno scialbo pareggio con l’Inter a San Siro e, soprattutto, la sconfitta interna contro la Juve. Quella che doveva essere la partita della rivincita per lo scudetto scippato, si rivelò un flop completo, reso ancora più crudele dal gol realizzato da uno dei bianconeri più odiati, Sergio Brio.
Poiché l’attacco era quello del quasi scudetto (ma Bertoni e Graziani non andavano neanche a spingerli e Antognoni pagava la stagione post-mondiale), le critiche erano tutte per la difesa. Un giorno un quotidiano se ne uscì con quel titolo, “Celeste nostalgiaâ€?, che era un chiaro riferimento al Vierchwood dei bei tempi andati. Pin non se la prese e credo che nacque proprio da lì la sua lunga storia d’amore con Firenze. Siccome era un ragazzo sveglio, capì al volo l’ironia di casa nostra e raddoppiò gli sforzi. E fra un allenamento e l’altro rilasciò delle dichiarazioni, o forse no, chissà…

IL CAUDILLO
Le avrà dette davvero ai giornali quelle cose Pin, quelle frasi in cui metteva più o meno velatamente sotto accusa il grande Passarella per le magre difensive viola? Penso proprio di sì, perché mi fido ciecamente della versione di Alberto Polverosi, ma nonostante la lunga amicizia con Celeste, non sono mai riuscito a fargli confessare la verità. Fatto sta che Passarella si arrabbiò di brutto, chiese spiegazioni al compagno, che evidentemente negò tutto o attenuò gran parte delle dichiarazioni. In un pomeriggio autunnale, il ventiquattrenne Polverosi pagò per tutti e venne “convocatoâ€? nello spogliatoio dal Caudillo (questo il soprannome di Passarella in omaggio a mai smentite simpatie verso i regimi autoritari) per una “franca spiegazioneâ€?. L’argentino mise pericolosamente la mano sotto il mento di Polverosi, che reagì indispettito e fu solo a quel punto che (forse sentendosi in colpa) intervenne Pin per separare i due. Poco dopo il presidente Ranieri Pontello chiamò Alberto e chiuse la vicenda da gran signore, comunicandogli che Passarella era pronto a chiedere scusa. Negli anni Polverosi è diventato uno dei giornalisti italiani più bravi e il Caudillo ha scritto pagine indelebili della storia viola: evidentemente quella “chiacchierataâ€? ha portato fortuna ad entrambi.

CESENA, 24 OTTOBRE 1982
Ci sono tanti modi per entrare nella storia del calcio, quel giorno la Fiorentina scelse di essere decisamente originale e riuscì a farsi pareggiare nel quarto d’ora finale l’incolmabile vantaggio di tre a zero. Come se fossi andato da un buon psicoterapeuta, ho da tempo rimosso i protagonisti di quella maledetta domenica, chi ha segnato per noi e chi per loro. Mi ricordo appena vagamente di un gol di Schachner, ma solo perché era uno dei tanti che doveva venire alla Fiorentina e che invece non si è mai visto dalle parti del Campo di Marte. All’uscita dello stadio, dopo aver registrato le parole di un De Sisti ancora stravolto, pensai che mai più avrei visto una cosa del genere. Mi sbagliavo: dodici anni dopo a Torino, contro la Juve, andò ancora peggio e perdemmo addirittura la partita. Di quel giorno mi ricordo tutto perfettamente: non ho ancora elaborato il lutto.

I VIP ULTRA’
Delusione dopo delusione, la Fiorentina aveva imbroccato una stagione davvero anonima e ad un certo punto decisiva perché mutasse l’orientamento dei Pontello. Tutto successe quasi all’improvviso, durante la partita casalinga contro la rivelazione Verona. I viola stavano giocando male e perdendo, quando ad un certo punto dalla tribuna coperta partì la contestazione verso la proprietà. Pensandoci ora, soprattutto dopo quello che c’è toccato vedere e sopportare nel 2002, era una cosa insensata, ma eravamo abituati a pensare in grande ed un campionato di retroguardia non se lo aspettava nessuno. I Pontello rimasero di stucco, illusi e convinti di essere amati per i tanti soldi spesi. Non avevano capito che nel calcio, molto più che nella vita normale, tutto è assolutamente relativo e che i viaggi di andata e ritorno tra la gloria e la polvere avvengono a velocità supersonica. Poi pareggiò Pin ed il Conte Flavio se ne andò stizzito. Approfittando del fatto di essere totalmente sconosciuto alle maschere dello stadio, intuii che fosse opportuno seguirlo, anche perché ancora non facevo la radiocronaca. Lo intercettai sulle scale e gli chiesi un’intervista. «Ma lei chi è? », mi domandò a brutto muso. Declinai le generalità, ricevetti un inevitabile rifiuto, ma lo sentii sibilare una frase profetica: «si ricordi che questi str… me la pagheranno, ma cosa caz… vogliono da noi? » e se ne andò.
Non era il «vi farò fare la fine del Bologna», l’anatema lanciato via Biscardi da un allucinato ed allucinante Vittorio Cecchi Gori al momento dell’esonero di Radice, ma poco ci mancava.
I Pontello in verità investirono ancora, ma con sempre meno entusiasmo, fino ad arrivare alle prime clamorose cessioni nell’estate 1986. E comunque il loro conto da pagare fu infinitamente meno salato del disastro nucleare provocato da VCG.