MA ALLORA QUALCUNO MI ASCOLTA!
Era una notte buia e tempestosa… D’accordo, la notte non poteva che essere buia, ma tempestosa è un aggettivo che ci sta bene, se rapportato sia alle condizioni climatiche di gennaio che al mio stato d’animo. Avevo chiamato Iachini per fissare il solito appuntamento per andare in radio e venni gelato da una domanda: «si può sapere cosa ca… hai detto in radiocronaca a Napoli? Nello spogliatoio sono tutti inferociti con te». E per tutti intendeva, in ordine di arrabbiatura, Passarella, Oriali, Antognoni e buon ultimo Pecci, che, forse in memoria dell’anno trascorso insieme, non sembrava troppo incavolato. Andai completamente nel pallone, era come se mi avessero dato un cazzotto alla bocca dello stomaco e chiesi spiegazioni. Iachini mi parlò di alcune allusioni che avevo fatto circa una presunta combine. Improvvisamente mi ricordai che nel contesto di una gara bruttissima e non sapendo più a quale santo votarmi per evitare di continuare a descrivere insulsi passaggi a centrocampo, avevo cominciato a parlare degli ottimi rapporti da sempre esistenti tra Napoli e Fiorentina. Mentre ribadivo per la decima volta lo scarso spessore agonistico della partita, citavo i tanti giocatori che le due società si erano scambiati. Ovviamente non avevo tirato in ballo alcuna combine, ma ero stato ingenuo e anche un po’ stupido. Scoprii in quel momento la categoria che fino all’avvento della pay tv ha rappresentato, insieme all’ispettore di Lega, il mio incubo maggiore: la moglie (o l’amico) del giocatore. Quella o quello capace di riferire al marito o al sodale qualsiasi mia critica, deformando quasi sempre le parole, con il risultato di catapultarmi addosso il calciatore schiumante di livore.
Sulla partita di Napoli comunque avevano ragione. Dopo una notte in bianco, andai a Canossa e chiesi udienza ai big della squadra al termine dell’allenamento. Nelle lunghe ore di insonnia mi ero preparato una dotta disquisizione che assomigliava un po’, lo ammetto, al brodo primordiale. Dentro c’era di tutto, dalla sacra libertà del giornalista, al mio amore per la Fiorentina, fino ad arrivare all’assoluta ammirazione per quei campioni. Appena giunto dentro lo spogliatoio, dimenticai ogni cosa. Farfugliai qualche frase, chiesi scusa per l’eventuale malinteso e venni “sorrettoâ€? dialetticamente da Pecci, che cominciò a fare battute. Antognoni disse che per lui l’incidente era chiuso, Oriali constatò laconicamente che a Milano con Bruno Longhi c’era più professionalità nel fare la radiocronache, Passarella tacque pericolosamente, ma non mi attaccò a nessun braccio della doccia. Uscii dallo stadio sollevato e solo in quel momento mi venne in mente che forse gli ascoltatori delle mie radiocronache erano più dei cinquanta amici e parenti a cui avevo sempre pensato.

12 FEBBRAIO 1984
C’è qualcosa di misteriosamente grande e tragico nella vita calcistica di Giancarlo Antognoni. Non importa andare ai mancati successi di un giocatore unico, basta pensare ai suoi tre infortuni: prende in mano la squadra con il Genoa, segna un gran gol e per poco Martina non lo spedisce al Creatore con l’uscita più spericolata ed idiota che si sia mai vista. Gioca divinamente contro la Polonia nella semifinale mondiale, offre un assist d’oro a Paolo Rossi e dieci minuti più tardi gli zompa addosso Zmuda, aprendogli in due il piede ed impedendogli così di giocare la finalissima. E’ il capitano di una Fiorentina spettacolare che sta inseguendo la Juve, realizza la rete dell’uno a zero con la Sampdoria e al quarto della ripresa viene irrimediabilmente falciato da Luca Pellegrini, che gli tronca in due la gamba e la carriera.
Quello fu il punto di non ritorno della sua prima vita in viola. Sì, Antognoni sarebbe rientrato diciannove mesi dopo, ma non era più la stessa cosa.

BRAVI LO STESSO
Non si ripeté il miracolo Miani e forse la squadra era un po’ stanca perché aveva speso troppo. Senza Antognoni ad ispirare l’attacco, Bertoni e Monelli si incepparono e arrivarono più pareggi che vittorie. Ciò nonostante, finimmo al terzo posto, quindi nell’attuale Champions Leagues, a sette punti dalla solita Juve che aveva vinto il confronto diretto a Torino con fortuna e solo grazie ad un discutibile rigore. Era stata comunque una stagione da incorniciare, la più bella Fiorentina dagli anni sessanta, migliore sul piano del gioco di quella a cui avevano rubato lo scudetto. Sul piano societario se ne era andato Allodi e Corsi era tornato a comandare da solo. Esisteva il problema di sostituire Antognoni e qualcuno a primavera si ricordò che Socrates aveva fatto un gran mondiale in Spagna, segnando fra l’altro un gol strepitoso a Zoff. Era tutto vero, peccato che da quei tempi fossero passati due anni e almeno un migliaio di lattine di birra.

GUETTA CHI?
Ultima partita di campionato ad Avellino. Convinco Saverio Pestuggia a venire con me e ci ritroviamo per caso ospiti di un banchetto nuziale nel ristorante scelto alla periferia della città. Sgusciamo via pieni come tonni fra una tarantella e un “O sole mioâ€? e arriviamo al Partenio con il solito anticipo di due ore. Rosoliamo al caldo di metà maggio fino a che non intravedo l’inconfondibile sagoma di Ciriaco De Mita, allora potentissimo segretario della Democrazia Cristiana e tifoso dell’Avellino. Annuso l’intervista di prestigio, mi butto tra le sue guardie del corpo e gli sparo la prima domanda:
«Onorevole, come giudica questa stagione calcistica che sta terminando?»
Silenzio
«Onorevole, un altro bel campionato dell’Avellino…»
Niente
«Onorevole, qual è per lei il numero giusto di stranieri che dovrebbe avere ogni squadra?»
Peggio che andar di notte.
Mi sollevano di peso due “simpaticiâ€? gorilla e cominciano ad intervistarmi.
«Ma lei ha mandato la regolare richiesta in segreteria per parlare con l’onorevole De Mita?»
«Veramente no, vengo da Firenze e volevo solo chiedere all’onorevole qualcosa sul campionato di calcio»
«Lavora per la Rai?»
«No»
«Per la Gazzetta dello Sport?»
«No»
«Per quel giornale di Firenze, come si chiama?… »
«La Nazione. No, mi piacerebbe, ci ho provato ma non mi hanno mai risposto»
«Insomma, per chi lavora?»
(Con malcelato orgoglio) «Per Radio Blu di Prato, faccio le radiocronache della Fiorentina»
«Conosce qualcuno qui ad Avellino?»
«Il signore che mi ha dato l’accredito ed il tecnico della Sip che ha installato il telefono, ma non credo che servano»
«Come ha detto che si chiama?»
«Mi chiamo David Guetta e (quasi con aria di sfida) sono giornalista pubblicista da quasi quattro anni»
«Guardi Guitta che lei qui in tribuna d’onore non ci può stare e soprattutto la deve smettere di importunare l’onorevole De Mita con le sue stron….».
Mi scusi onorevole, come è umano lei!