Solo una piccola nota storica: il libro è stato scritto durante la stagione della C2, quindi nei mesi successivi al fallimento dell’agosto 2002.
“La mia voce in viola” viene pubblicata sul blog per gentile concessione dell’editore Luca Giannelli della Scramasax – Prossimo libro in uscita, dal 31 agosto, “Fiorentina-Juventus, la partita della vita”.

INTRODUZIONE

Il primo agosto 2002, alle tre del pomeriggio, mi chiamò al telefono mia figlia Valentina, di sette anni, per chiedermi se fosse vera la notizia della morte della Fiorentina. Alla mia risposta affermativa, cominciò a piangere disperata. Non sapevo proprio cosa dirle per consolarla, inutilmente provai a spiegarle che saremmo ripartiti con una nuova società e comunque sempre con la maglia viola.
Questo libro nasce dalla voglia di raccontare a chi c’era e a chi non c’era cosa sia stata la Fiorentina negli ultimi ventuno anni. Io ho avuto la fortuna ed il privilegio di viverla da dentro, come mai avrei immaginato di poter fare quando da bambino andavo a vederla in curva. Mi ha fatto godere e soffrire, rimanendo sempre una compagna insostituibile ed incapace di tradire. Solo uccidendola potevano cercare di portarmela via.

IL SALUTO DI ROBERTO BAGGIO

Una Porta nel Cielo e il Sogno Dopo, i due libri che compongono la mia autobiografia, hanno contribuito a farmi passare per scrittore, cosa che non sono.
Così sta capitando che in molti chiamano Vittorio Petrone per avere una mia introduzione, un racconto, una qualsiasi forma di intervento letterario.
Quando mi è arrivata tra le mani la richiesta di David non ho potuto fare a meno di ricordarmi il primo appuntamento per un’intervista che non si fece, così come molte altre chiaccherate finite poi sui giornali. Però, l’ho sempre vissuto appasionato e onesto, impregnato d’amore profondo per i viola.
David ha regalato a tutti i tifosi viola la sua passione e la sua professionalità, doti queste, non proprio comuni a tutti.
Oggi, con questo libro, ripercorre spazi di storia calcistica dove si fondono analisi tecniche e giudizi personali ma in ogni caso emerge forte e chiaro il suo appasionato trasporto. Lo stesso trasporto che in qualche occasione ha finito col causarmi qualche imbarazzo, però l’ho sempre perdonato.
Buona fortuna David

Roberto Baggio

IL SALUTO DI FRANCESCO TOLDO

Caro David,
leggendo fra le righe del tuo racconto mi passano dei flash per la testa contenenti otto anni di vita calcistica e non che ho vissuto a Firenze e … sono ricordi che inumidiscono gli occhi. Eh sì, ogni volta che penso alla Fiorentina non riesco a non commuovermi! Ricordo momenti duri come nell’estate 93, quando nel ritiro estivo di Roccaporena irruppero alcuni tifosi viola nelle camere d’albergo per discutere con i ragazzi colpevoli della retrocessione in B. Momenti duri, come la scomparsa del presidente Mario Cecchi Gori, o come la contestazione contro alcuni giocatori al termine della partita di Coppa Italia nel 94 contro il Venezia: il “colpevole Effenberg” minacciato per la B e per aver sbagliato il rigore della qualificazione. Momenti duri come la fine del campionato 96/97, quando mi presero di mira sbeffeggiandomi per alcune papere. Momenti duri come l’avvicendarsi di dirigenti con una facilità incredibile…, ho pensato ma dove c… sono finito?
In quegli anni, queste situazioni le vivevo con tanta partecipazione diretta e ho sofferto molto quando veniva toccata la mia persona. Ora invece, a distanza di anni, sorrido e penso: “Francesco, tutte esperienze che servono a crescere, sicuramente ora le affronterei con più maturità e serenità”, e giù una risata.
E voglio arrivare al meglio, e cioè alle cose positive vissute a Firenze. Momento bello quando commisi il primo errore, al Franchi contro il Pisa. Stavamo vincendo fino a quando, uscendo in tuffo basso sull’uomo lanciato a rete, finisco fuori area e lascio il pallone all’avversario, che sbigottito lo calcia in porta vuota. Quel giorno i tifosi si alzarono in piedi ad applaudirmi, facendomi capire la loro stima nei miei confronti. Da lì ho capito il calore della gente! Momento bello quando fummo promossi in A, e anche se era scontato per la città, non lo era affatto per me e per gli altri che provenivano dalla serie C! Facemmo festa da soli (quelli della C). Momenti belli furono la conquista delle due Coppe Italia (sicuramente la prima ebbe un effetto esplosivo per la gente, mentre la seconda fu condizionata dalla situazione societaria e meno entusiasmante) e della Supercoppa di Lega. Risultati così fecero star bene noi, i tifosi, e rinfrancarono tutta una città. Un momento bello fu l’arrivo della squadra all’aeroporto dopo il record di Gabriel Batistuta a Napoli: impressionante vedere la gente tanto contenta da innalzare bandierine gialle prese da tutti i campetti. Momenti belli furono quelli legati alla qualificazione in Champion’s Leaugues e ad alcune prestazioni europee (Kanu sbiancato fu). Momenti belli furono vedere sempre 35 mila tifosi assidui e costanti presenti allo stadio, e sentire i cori coloriti verso i giocatori viola. Ricordare tutto è impossibile, dovrei scrivere un libro, però momenti così li augurerei a qualsiasi giocatore di calcio del mondo, perché giocare nella Fiorentina è un’emozione particolare. La mitica Viola farà parte sempre di me, i ricordi non si cancellano, sono indelebili come gli amici che tuttora sono miei amici. Grazie Fiorentina.

Francesco Toldo

LA PREFAZIONE DI SANDRO PICCHI

L’anziana signora del piano di sotto aveva molta pazienza per i rumori causati dalla famiglia del piano di sopra, che era la famiglia Picchi. Un giorno in ascensore – l’imbarazzante banalità degli incontri in ascensore- l’anziana signora del piano di sotto mi disse qualcosa di un suo giovane nipote che “voleva fare il giornalista” e che aveva una gran passione per il calcio. Non aggiunse altro. Era una gran brava signora.
Risposi in maniera vaga, forse dissi soltanto “ah sì?”, mostrando un educato, ma temo evidente disinteresse. D’altronde, che altro potevo fare per il giovanissimo nipote dell’anziana signora se non incoraggiarlo (in definitiva, fare il giornalista è sempre meglio che lavorare) o vagamente scoraggiarlo, prospettandogli una serie di generiche difficoltà?
Temevo, tra l’altro, che prima o poi, dalla signora o dal nipote, mi venisse rivolta una fatidica domanda alla quale non ho mai saputo rispondere in maniera convincente: “come si fa a diventare giornalisti?”
La conversazione sull’argomento finì lì e non venne mai ripresa, ma anni dopo ecco che il nipote, quel nipote, era arrivato sulla breccia giornalistica.
Anzi, era in prima linea, visto e considerato che fare le radiocronache nelle condizioni spesso “estreme” in cui le faceva David Guetta (era lui il nipote di cui sopra) significava essere in prima linea. In trincea. Pronti ad esporre il petto alla palla nemica. Mi riferisco soprattutto ai primi anni, quando la radiocronaca, specialmente in trasferta, era avventura. Rischio. Contrabbando.
Qualunque cosa fosse, ci voleva fegato. Prima di tutto occorreva sfuggire agli ispettori della Lega, incaricati di proibirla, poi bisognava fare i conti con le ire del pubblico. Guetta era spesso a contatto con i tifosi avversari, se non addirittura in mezzo a loro, e quando la Fiorentina segnava un gol, prorompeva nell’ immancabile ed essenziale grido d’esultanza (incomparabbile, direbbe Biscardi) ripetendolo, senza imbarazzo, senza timore, senza freno, anche sette, otto, dieci volte. Nel silenzio – quel silenzio soltanto scalfito da una mormorante delusione che è il “sound” di ogni gol incassato dai padroni di casa– rimbombava l’altro “sound”, l’incontenibile esplosione di Guetta.
Nel contrariato pubblico delle tribune avverse lo sdegno si univa alla rabbia e per il radiocronista erano noie. Più di una volta ho riconosciuto la postazione di fortuna di Guetta dal tumulto che vi si accendeva attorno. Non si è mai trattenuto, non si è mai arreso. Eroico,ai miei prudenti occhi.
Le sue radiocronache sonoramente clandestine divennero ben presto popolarissime. A Firenze, i tifosi abbandonarono “Tutto il calcio minuto per minuto” per sintonizzarsi su Radio Blu che, la domenica, dava loro ciò che cercavano: la Fiorentina, la partita della Fiorentina, niente altro che la Fiorentina.
Gioia estrema in caso di gol viola e un sussurrato dolore quando segnavano gli altri. Quel bisbigliare accorato – qualcosa di simile alle condoglianze – finiva per essere vicino ai sentimenti della gente quanto lo era l’urlo, perché eliminava dalla radiocronaca la peggior cosa che si potesse ascoltare, cioè l’annuncio festoso di un gol segnato contro la squadra del cuore.
Quanti radiocronisti della Rai sono stati accusati di avercela con questa o quella squadra – Fiorentina compresa – per aver alzato un po’ troppo la voce nell’annunciare un gol, dando così l’impressione, a chi quel gol subiva, di aver gioito troppo? Tanti. Con Radio Blu questo rischio non si correva. Il gol incassato dai viola era appena accennato, con la dovuta, addolorata mestizia.
Il caso volle, quando Guetta era ormai diventato un divo del microfono cittadino, che si verificasse qualcosa di simile a ciò che forse la nonna di David si era augurata quel giorno in ascensore.
Guetta si era aggiudicato una borsa di studio di giornalismo e doveva fare tra l’altro anche un periodo di esperienza presso la redazione sportiva de La Nazione di cui ero il responsabile.
Un giorno, per metterlo alla prova, gli chiesi un’intervista. Unico dato a sua disposizione, nome e cognome della persona da intervistare: Miguel Indurain. Bisogna riconoscere che da Firenze, senza avere né un recapito , né un numero di telefono, né un’idea di dove fosse, in pieno inverno, il fuoriclasse del ciclismo, il compito da svolgere risultava tutt’altro che agevole, tanto più che Guetta non poteva avvalersi nei confronti di Indurain di quel rapporto di confidenza che poteva vantare con i calciatori viola. Un conto era Cois, un conto il plurivincitore del Tour.
Tempo a disposizione per portare a termine la “missione”? Due ore, quante ne aveva concesse un comandante giapponese ai suoi aviatori per decidere di diventare kamikaze. Guetta ci riuscì. Non a diventare kamikaze (forse lo era già), ma a rintracciare e a intervistare Indurain. Un episodio che testimonia la sua determinazione, la sua capacità di superare gli ostacoli.
Bravo e veloce non soltanto nelle radiocronache, ma anche come cronista, anche con la penna, come dimostra la disinvoltura di questa sua autobiografia – memorie viola e personali – alle quali non manca neppure l’autocritica. Una compagnia essenziale, nella vita.
Certo che da quanto Guetta scrive emerge un faticoso turbinare di rapporti. Scontri, riconciliazioni, minacce, riappacificazioni, litigi e abbracci. Un dietro le quinte che è la testimonianza di quanto Guetta sia stato protagonista, oltre che testimone, della vita quotidiana della Fiorentina. Protagonista. Certo. Lo è stato, in un modo così netto, così esposto da risultare una componente tradizionale delle stagioni della Fiorentina, dei campionati della Fiorentina, di tutto ciò che ruotava attorno alla Fiorentina.
Ascoltato, seguito, applaudito, anche contestato. In una parola, importante. Di un’importanza che poteva irritare qualcuno, anche qualcuno di noi, ma che Guetta aveva costruito con fatica e con slancio facendo di se stesso una professione.
Come impatto, il peso di una sua frase, il tono di una sua radiocronaca, hanno spesso superato, tra i tifosi viola, quello di molti articoli di giornale. La televisione ha fatto il resto, complicazioni comprese.
Dalla penombra che ho sempre coltivato, non invidio a Guetta quell’esposizione così evidente, ma mi rendo conto che era inevitabile, addirittura indispensabile per il suo lavoro. Né gli ho mai invidiato la frequentazione con Vittorio Cecchi Gori, con Luciano Luna, con Canale 10 .
Un giorno, quando maturava l’ipotesi di un suo passaggio o comunque di una sua collaborazione alla tv padronale, gli consigliai di starne alla larga. Erano i tempi in cui Vittorio, l’intoccabile Vittorio dietro al quale scodinzolava più o meno compatta l’intera città, era all’apice del successo.
“Meglio filippino in casa mia che direttore da Cecchi Gori”, dissi a David. Quelle cose che si dicono così, anche per il gusto della battuta. Tra l’altro il domestico, tanto meno filippino, non l’ ho mai avuto.
Ma essere da Cecchi Gori senza essere di Cecchi Gori deve essere stato un esercizio di alto equilibrismo, come dimostrano i retroscena contenuti in questa sfilata di ricordi. Minacce di licenziamento, ingerenze e, quando è cominciata la contestazione, anche gli insulti dei tifosi.
Se Guetta avesse seguito quel mio consiglio, che risale ai tempi in cui tutti, curve comprese, adoravano Cecchi Gori, forse avrebbe avuto qualche fastidio in meno, forse non avrebbe avuto bisogno, oggi, di ammettere qualche errore. Ma a questo suo lavoro che ci riconduce alla Fiorentina, ai tempi belli e brutti, ma comunque scolpiti nella memoria, della “vecchia” e drammaticamente scomparsa Fiorentina, a questo suo lavoro – e quindi a noi – sarebbero mancati certi episodi che fanno da contrappunto alla colonna sonora dei gol e delle parate, e che- più di mille discorsi – ci danno il senso di “come andavano le cose”.
Basti pensare a Luna che, nella grafica delle previsioni del tempo di Canale 10, suggerisce di mettere un po’ di ombre sulla costa maremmana perché c’è troppo vuoto.
“Mettece ‘na nuvola”. Era così che si tappavano i buchi. Mettendoce ‘na nuvola.
E a forza “de nuvole” arrivò la tempesta.

Sandro Picchi