Una premessa necessaria e doverosa: io devo molto al calcio.
Se non lo avessero inventato, non so cosa mi sarei inventato per realizzare quell’insano sogno che mi perseguita da quando avevo undici anni, cioè diventare giornalista.
Magari oggi sarei ad un desk di un giornale a passare le notizie di politica interna, un po’ frustrato e completamente sconosciuto.
E debbo quindi tantissimo alla Fiorentina, perché è avvenuto, come nelle favole, che l’oggetto del mio amore di bambino sia diventato anche una parte molto importante della mia quotidianità.
Sono quindi molto contanto che domani entrino gli abbonati e che presto si torni alla cosiddetta “normalità”.
Ma c’è un però che devo tirare fuori, un però che nasce dalla mia appartenenza alla società civile.
Mi chiedo: ma perché ci applichiamo in questo modo feroce, perché tiriamo fuori il meglio di noi solo quando c’è di mezzo il calcio e la Fiorentina?
Penso a quei problemi (non tantissimi, ma ci sono) che la città deve risolvere e che vengono rimandati in un rimpallo di responsabilità che coinvolge tutti.
Compresi noi dei media, che del degrado delle Piagge ce ne freghiamo, ma che facciamo una diretta continua della situazione “tornello per tornello”.
Risciremo mai ad avere un maggiore equilibrio?