Non esiste al mondo una categoria più permalosa dei giornalisti.
Molti di noi pensano (pensiamo) di essere dei Moravia o dei Cassola potenziali, che solo il destino cinico e baro ha costretto a scrivere di Montolivo e Liverani.
Siccome è da trent’anni che provo a fare questo mestiere, ho assistito ad una evoluzione per me impensabile quando nel 1976 cominciai a prendere i tabellini della Rondinella per Il Tirreno, sperando solo di scrivere un giorno qualche articolo.
Il giornalista della carta stampata ha scoperto la popolarità, che prima era solo di tre o quattro grandi firme e a Firenze di nessuno, perché nessuno conosceva la faccia di Pegolotti o di Goggioli.
La scoperta è stata devastante, l’edicolante o il pizzicagnolo che ti avevano visto in tv o ascoltato in radio ha fatto il resto, trasformando il giornalista in una piccola star (se a livello regionale) o in uomo spettacolo, rotto ad ogni sperienza e pronto a qualsiasi cosa per una platea televisiva nazionale.
Sinceramente devo dire di appartenere a questo circo mediatico, anzi di averlo in gran parte costruito a livello fiorentino perché, per almeno dieci anni non c’è mai stato nessuno che si occupasse radiofonicamente di Fiorentina.
Non solo: nel corso del tempo ho lanciato ragazzi e ragazze che hanno occupato spazi sempre più ampi.
Non esiste categoria più rancorosa dei giornalisti.
Una categoria dove un torto patito dieci anni fa è ancora la bussola che guida i rapporti tra le persone.
Una categoria dove i clan e le conventicole si fronteggiano a volte con punte di veleno che confinano con l’odio fisico.
A tutto questo va aggiunto che nel giornalismo sportivo non abbonda proprio una gran preparazione culturale (ultimamente è stato assunto come caporedattore un signore che ha dei seri problemi a districarsi con l’acca del verbo avere…).
Però i giornalisti sono (siamo) l’interfaccia per raccontare il mondo e lo possiamo fare bene o male, ricordandosi che questo è un mestiere estremamente individuale, dove le responsabilità uno se le deve prendere sempre e comunque perché altrimenti va a fare un’altra cosa.
Per questo non mi piace il corporativismo della categoria (molto di facciata, ve lo assicuro), ma non mi piace neanche la piega che sta prendendo la storia di Prandelli, che stimo addirittura più come uomo che come allenatore.
Perché è troppo facile scatenare i tifosi contro i giornalisti, rischiando magari che qualcuno con tre neuroni nel cervello tiri un paio di schiaffi a chi ritiene responsabile dei mali della Fiorentina.
Tutti i tifosi sono dalla parte di Prandelli, lo sarei anch’io se fossi solo un tifoso e lo sono pure da giornalista.
Solo che mi piacerebbe sapere chi c’è dall’altra parte.