E’ chiaro che sono stati Zavaglia e Aquilani a cambiare le carte in tavole, con l’aggravante che al giocatore di venire a Firenze interessa e interessava il giusto, considerando la piazza una soluzione di ripiego per le sue ambizioni.
Dal punto di vista della correttezza la Fiorentina esce assolutamente pulita da questa bruttissima storia che qualcuno pensa possa ancora riservare il lieto fine mentre io mi sono messo l’animo in pace.
Ma il calcio è passione, è emozione, e a un dirigente non basta essere perfetto formalmente per assolvere il compito.
Qui l’amara verità è che a settanta giorni dalla fine del campionato italiano, e a cento dalla conclusione effettiva di quello viola, la squadra è ancora da inventare e siamo tristemente in mezzo al guado.
Tra quattro settimane si gioca il derby a Siena e abbiamo in formazione due sopportati, oltre al miglior portiere tra i tre della rosa che è visto peggio di un cane in chiesa.
Ci manca un centrocampista di grande peso tecnico, un’alternativa a Pasqual e la solita riserva di Gilardino, ma quella deve essere una tradizione di famiglia dopo Bonazzoli, Castill, Keirrison e il più sopportato di tutti (molto per colpa sua) Babacar.
Come aveva detto (giustamente) il presidente Cognigni?
Non mi piace mai guardarmi indietro e non ammetto che mi venga detto che siamo stati dietro a lungo a quel giocatore e poi non l’abbiamo preso per un motivo qualsiasi.
Bene, la stagione è cominciata mediaticamente con una fantastica retrospettiva sui sei meravigliosi anni appena trascorsi (negli ultimi diciotto mesi mi devo essere distratto, perché non me ne ero accorto…) e con l’affare Aquilani: si poteva fare peggio?