Io e Benedetto Ferrara siamo molto diversi e non solo fisicamente (lui è biondo e pieno di capelli, io sono pelato e moro, prima che gli ultimi reduci sulla testa si tingessero di bianco).
Lui ha fatto il classico al Michelangelo ed io ragioneria al Duca D’Aosta, per cercare di arrivare ad essere economicamente indipendente il prima possibile.
Dunque eravamo di fronte, siamo quasi coetanei, non ci siamo mai incontrati e ci sono ampissime possibilità che mi potesse stare altamente sulle scatole se solo l’avessi conosciuto in quegli anni giovanili.
L’ho invece incrociato quando ha cominciato a lavorare a Repubblica, mentre io già da un decennio mi sbattevo tra radiocronache e sponsor ed è nata una forte stima professionale (spero ricambiata).
Bendetto mi ha dedicato, bontà sua, qualche ritratto affettuoso e corrosivo, prendendomi spesso in giro, ma alla sua maniera, senza cattiveria.
E al contrario di altri tromboni che professano una remota capacità giornalistica sconosciuta ai più non si è mai permesso di dare voti a questo o a quel cronista o redattore, non ha mai pontificato e/o sparato sentenze.
Ferrara piace a tutti quelli (e a quelle…) di Radio Blu: dovrei esserne geloso, ma capisco che il suo charme è molto più penetrante dei miei bruschi richiami all’ordine e glisso sorridendo, magari prendendo in giro Loreto e Sardelli per la loro latente omosessualità nei suoi confronti (scherzo, eh), visto che si illuminano quando parlano di lui.
Benedetto scrive benissimo, magari a volte, come succede ai grandi giocatori, si ammira un po’ troppo, ma è giusto per trovare qualcosa che non va nei suoi pezzi, che purtroppo sono sempre più rari, sulla Fiorentina.
Ecco, quello che ha scritto stamani su Repubblica è come se l’avessi scritto io ed è per questo lo esporto pari pari sul nostro blog.

In una notte fredda e arrabbiata di febbraio, dentro un grande cerchio rosso affondato nel bianco della neve, è finita una lunga storia. E´ finito un ciclo emozionante di calcio ad alti livelli, si sono perse le motivazioni, la voglia di giocare ed emozionare. Stop.
La Fiorentina si è praticamente fermata lì, insieme a un grande sogno, quello che poi, due settimane dopo, una prodezza di Robben ucciderà senza pietà. Da lì in poi nessuno ha dimostrato orgoglio per quella meravigliosa maglia viola. Veleni, solo veleni e sospetti. E poi polemiche e fazioni. Duelli e accuse, battute acide, reazioni stizzite, esecuzioni mediatiche, mosse diplomatiche, bastoni, carote, gelosie e querele, nuove strade mai iniziate. Strascichi di un amore interrotto, evidentemente. Troppo lunghi, però. E poi: basta trovare un colpevole vero o presunto per ricominciare a vincere? No, forse no. Anche se evidentemente un periodo di transizione ci poteva stare. Un mese, due, o anche tre, ma sei mesi senza gioco, senza idee e senza chiarezza né emozioni non aiutano il tifoso (anche se ormai abituato a tutto) a vivere bene. Anche perchè si può pure dare la colpa a un allenatore che non c´è più, a qualche imprenditore che rosica, magari a chi non ti ha trovato 80 ettari e a qualche giornalista che non è sempre d´accordo con te. Sì, sì, certo. Ci saranno anche delle ragioni (o frammenti di esse) per tutto questo. Ma poi? Poi il gioco dov´e´? Ecco, è del gioco che non si è parlato più. Si è parlato del piano strutturale e della pista parallela. Si è parlato ancora di un centro sportivo che ancora non c´è e del monte ingaggi, di plusvalenze, di autofinanziamento e grandi strategie possibili o improbabili. Assessori saltati e riappacificazioni diplomatiche in nome dell´interesse comune. Sì è parlato di squadra con gli attributi e di operazioni di mercato decisamente discutibili. Tutto questo mentre la passione scivolava via dai cuori. Mai visto un Franchi così arido, mai vista Firenze così senza parole. Certo, detto così sembra tutto catastrofico. Ma non è questo il senso. Il fatto è che per ricominciare nel modo migliore è sempre un bene decidere cosa vuoi tenere e cosa vuoi buttare via. Se vuoi guarire, insomma, bisogna togliersi il veleno di dosso una volta per tutte. Bisogna cambiare ciò che non va, compresi i giocatori demotivati, chiaro. Ma che questa non sia solo una scusa per vendere i pezzi migliori, però. Insomma, se da una parte il mercato di gennaio ci farà capire con i fatti ciò che a parole appare un po´ confuso (la proprietà parla di acquisti importanti, i dirigenti dicono che è difficile migliorare questa squadra), ciò che conta sarà ricostruire, tanto per cominciare, un clima diverso e trovare un gioco degno di questo nome capace di ridare entusiasmo a tutti. Perché un conto è comprendere col cervello che non puoi lottare per lo scudetto, un altro accettare col cuore il colore grigio come uno stato immutabile delle cose. Tra il viola e il grigio, diciamocelo, c´è una bella differenza. Via dal veleno allora, se vogliamo che il 2011 ci racconti un´altra storia