Ottobre 2008


Il solito, splendido, Prandelli di ottobre, quello che ci fa volare.
Che giornata ieri: Fiorentina che vince soffrendo unpo’, ma vince, e la Juve che perde.
Rispetto molto il nuovo corso bianconero e soprattutto Ranieri, che è davvero un gran signore, ma sono figlio di Cagliari ed Avellino e dunque, come dicevo ieri in famiglia, “quando perde la Juve, io divento più buono”.
Continuiamo a vincere là dove siamo favoriti, circostanza niente affatto scontata nel calcio, e poi stiamo scoprendo il diamante Jovetic, che ha fatto un po’ più quello che ha voluto in attacco.
Pazzini mi sembrava molto preoccupato di metterla dentro e ha svariato meno del solito, però nel rigore preso da un ottimo Santana c’è il suo zampino.
Senza contare l’esecuzione: perfetta.
Su Gila cerchiamo di stare calmi, però è difficile non fare paragoni con il primo Toni fiorentino, oppure con lui stesso a Parma, che poi è il confronto più bello.
Adesso davvero ci divertiamo, alla faccia dei gufi di neanche un mese fa.

Volevo scrivere “il culo che abbiamo”, ma poi mi era sembrato un titolo troppo ruffiano, fatto apposta per invitare a leggere quasi volessi vendere qualcosa ed invece questo blog non è uno spazio che deve essere venduto.
La fortuna è quella che abbiamo noi persone normali a vivere delle nostre cose quotidiane, dando per scontato che tutto che ci succede ogni giorno sia un atto dovuto.
Ci penso ogni tanto, ma ci ho riflettuto ancora di più nei 30-minuti-30 impiegati ieri per mangiare.
C’erano le solite beghe di bassa levatura del nostro mondo giornalistico, sms che si incrociavano su quello che aveva detto tizio e su cosa stesse archiettando caio per cercare di avere un po’ di visibilità.
Insomma, la solita fuffa, che magari può essere divertente se vista dall’esterno, ma che poi diventa routine se va avanti da anni.
A due metri da me, una coppia sulla quarantina e sul passeggino un bambino che doveva avere almeno un anno in più di Cosimo, ma che purtroppo si capiva che non fosse quello che noi definiamo con la parola “normale” (mi vergogno un po’, però non trovo altri termini…).
Bisognava essere lì per vedere l’amore in ogni gesto disperato e pieno di passione con cui la mamma che imboccava suo figlio, cercando di distrarlo, mentre il babbo mi sembrava più stanco, eppure partecipe.
Lo loro dignità, il loro essere così “normali”, mi ha bloccato: ma se fosse successa a me e alla mia famiglia una cosa del genere, sarei stato in grado di trovare la forza quotidiana per essere accanto a chi avrebbe avuto più bisogno di me di quanto lo abbiano oggi i miei figli?
Oppure mi sarei abbandonato alla disperazione, trascinando con me le persone che mi vogliono bene?
Ecco, questo è il culo (enorme) che abbiamo, altro che diritti per la partita, la firma su un articolo, un contratto di pubblicità in più o in meno.
Bisogna che me ne ricordi più spesso.

Più Jovetic di Gilardino ieri sera, anche se Alberto è oggi nettamente superiore al Toni sbiadito degli ultimi sei mesi.
Aveva davanti De Rossi e Gattuso in prima battuta, e poi Chiellini e Cannavaro, insomma mica difensori ed incontristi qualsiasi, eppure li ha saltati quasi sempre, frenato poi dall’eccessivo egoismo del pur ottimo Vucinic.
Ha tutti i numeri per entrarci nel cuore, Jo-jo, e ha pure un grande allenatore che lo aiuterà nella crescita e credo si convincerà presto che tenerlo confinato sulla fascia sinistra vuol dire limitarne l’estro e quindi la pericolosità.
Aspettiamo che si sblocchi con i primi gol pesanti in maglia viola e poi vediamo quanto è pericoloso anche nel tiro.
Se ci fosse pure quello, Joveric diventerebbe, più di Bojinov, Toni e dello stesso Vucinic, il più grande colpo di mercato dell’onorata carriera di don Corvino.

Ci manca Mutu, inutile girarci intorno.
Seguo con un pizzico di appensione questa girandola di contrattempi che hanno trasformato un campione in un Paolino Paperino qualsiasi.
Da giugno in poi capitano infatti tutte a lui: mega multa dal Chelsea, rigore sbagliato con l’Italia, polemica con i compagni in Nazionale, braccio rotto, ginocchio in panne.
In più ci aggiungerei un procuratore come Alessandro Moggi, ma quello se lo è scelto lui.
Continuo a pensare che sia stato meglio tenerlo e che comunque la pessima gestione di tutta la vicenda Roma si faccia sentire ancora adesso, non fosse altro che per una velata ostilità che capto qua e là.
A tre giorni da una serie di impegni davvero preoccupante, ancora non sappiamo come stia veramente Adrian Mutu e questa non è davvero una buona notizia.

1986/87

Nel febbraio ’86, con un blitz preparato da un paio di mesi, avevamo acquistato in esclusiva i diritti radiofonici, con un contratto triennale. Sembrava impossibile, ma non eravamo più clandestini e quindi non avevamo più l’ispettore di Lega alle costole. Addio (purtroppo temporaneo) a fughe affannose in mezzo a giornalisti e spettatori. Purtroppo il blitz lo fecero anche i Pontello, che cominciarono a vendere i pezzi migliori della rosa. Niente nuovi investimenti e arrangiarsi con quello che c’era. Arrivarono Diaz, Di Chiara e lo spremuto Galbiati, partirono Galli, Massaro e Passarella. Era una squadra strana, con diversi giocatori al capolinea (Gentile e Oriali), giovani in via di maturazione (Landucci, Carobbi, Onorati e Berti), gente che non maturava mai (Monelli) e grandi speranze per l’avvenire (Baggio). In società, Nassi, senza più Ranieri Pontello presidente, aveva preferito lasciare e con lui a luglio, se ne andò improvvisamente anche Agroppi. Sarebbe più corretto dire che fu cacciato, ma qui le versioni cambiano a seconda di chi le fornisce. Al suo posto arrivò Bersellini, uomo squisito, ma non adatto da un ambiente particolare come Firenze. Fu immediatamente soprannominato Mastrolindo per un’innegabile somiglianza con il noto personaggio degli spot televisivi e si innamorò della città. Aveva sempre sperato di poter allenare un talento come Antognoni, ma a maggio, a Empoli in Coppa Italia, il capitano si era di nuovo seriamente infortunato. Stavolta però l’attesa per il ritorno fu più breve: “appenaâ€? sette mesi.

QUALCHE VOLTA POTRESTI PRENDERE IL PALLONE?
Il mondo del pallone da anni si interroga attonito su alcuni misteri calcistici. Un esempio: come hanno fatto ad arrivare in serie A elementi Andrea Rocchigiani, Carlo Pascucci e Massimiliano Fiondella? Tutti bravi ragazzi, per carità, ma poiché siamo in tanti ad esserci comportati più o meno bene nella vita, non si capisce perché a noi non è mai stata data questa fantastica opportunità. La Fiorentina, nel suo piccolo, può vantare un record: li ha fatti giocare tutti e tre, consegnando loro senza vergogna le stesse maglie che furono di gente come Magnini, Robotti, Cervato e qui mi fermo per non farmi troppo del male.
Prendiamo Rocchigiani, simpatico ragazzo fiorentino cresciuto a pane e calcio(ni). La notte fra il e il 14 settembre 1986,ad Avellino, una visione dall’al di là deve aver illuminato Bersellini, qualcosa di misterioso deve averlo convinto dell’ineluttabilità di mandare in panchina Gentile per far giocare Rocchigiani. Chissà se nell’occasione ci fu la stessa raccomandazione che Rocco fece a Rosato prima di un derby milanese degli anni sessanta: «colpisci qualunque cosa ti passa accanto, se è il pallone pazienza». A pensarci bene deve averglielo detto, perché il nostro eroe cominciò a scalciare più di un cavallo imbizzarrito, beccando alternativamente ora Tovalieri, ora Dirceu. Di calci al pallone quindi non ci fu traccia e dopo cinquanta minuti di lotta libera, Magni di Bergamo non poté che estrarre il cartellino rosso fra la costernazione del pubblico avellinese che stava cominciando a divertirsi per il match di lotta libera. Ciò nonostante, Rocchigiani, come del resto prima Pascucci e poi Fiondella, riuscì misteriosamente a collezionare diverse presenze in serie A. E pensare che c’è gente molto più dotata che si sbatte da una vita e non va oltre l’Interregionale.

IL SECCHIO
Ad Oporto la Fiorentina si gioca la qualificazione al successivo turno Uefa. Ha vinto in casa per uno a zero e sta perdendo con lo stesso punteggio contro i non impossibili portoghesi del Boavista. Si va ai supplementari e non succede niente. I rigori sembrano inevitabili ed è questo punto che Bersellini ha la pensata giusta: fa riscaldare Maldera, distintosi in due anni in viola solo per l’esagerato ammontare dell’ingaggio.
«Vai Aldo, pensaci te. Prima però fai un po’ di movimento».
Cinquanta metri avanti e cinquanta indietro, tutto bene fino a quando Maldera con la testa per aria non infila il piede nel secchio dell’acqua lasciato improvvidamente davanti alla panchina.
«Ahia!», urla Aldone.
Bersellini (paterno) «Ti sei fatto male?»
«Un po’ mister…»
«Ma te la senti di entrare per battere il rigore?»
«Non si preoccupi, vado e segno».
Entra, non tocca palla e si porta sicuro sul dischetto. Errore clamoroso e Fiorentina eliminata. Indimenticabile.

MI RACCOMANDO…
Faccio carriera. Rete 37, che a quei tempi aveva il monopolio delle trasmissioni della domenica sera, decide di affidarmi il compito di commentare la gara in trasferta e di dare i voti ai giocatori viola. Dal settembre 1986 all’aprile 1990 batto ogni record della speciale categoria e ricevo ben sessantaquattro telefonate dal direttore Michel Isler, una per ogni sabato che precede la partita. Giuro, una ad ogni vigilia. E sono tutte uguali: «mi raccomando stai nei tre minuti, se succede qualcosa di importante avvertimi prima di andare in onda, dai prima il voto e poi il giudizio sul giocatore». Ci fosse stata una volta che non l’abbia fatto, ma evidentemente non ero ritenuto affidabile. Stavo per ricorrere allo psicologo per capire cosa non andasse in me, quando ho saputo che il rito della telefonata proseguiva implacabile anche con chi aveva preso il mio posto. Mi sono consolato e oggi pagherei qualsiasi cifra per sapere cosa raccomanda ogni giorno il buon Michel a suo figlio prima di andare a scuola. Forse, «mi raccomando, se ti interrogano stai nei tre minuti»?

La loro sfortuna è che non fosse stato convocato l’uomo che non ha letto la storia, Christian Abbiati.
Quello a cui fino al 1938 il fascismo andava bene così, tout court, perché i treni arrivavano in orario e c’era poca confusione in giro.
Scelta di tempo e luoghi inevitabile quella dei fascisti italiani, che seguono la Nazionale un po’ per spirito di patria e molto perché lì non esistono gli ostacoli, anche all’interno del tifo organizzato, che hanno le squadre di club.
Il tempo è quello dello sfascio, della paura innescata dall’ultima crisi economica (che mi auguro azzeri i guadagni di tanti speculatori che giocano sulla nostra pelle).
Nel marasma mentale e nelle crisi di panico di alcuni può darsi che affiori l’ipotesi dell’uomo forte, quello che “non c’è da preoccuparsi” e che nasconde quelli che secondo molti sono escrementi sociali (poveri, extra-comunitari, insomma, i diversi) sotto il tappeto dell’ordine imposto ad ogni costo.
Il luogo è quello di un ex Paese comunista, abituato alla dittatura, dove l’idea del pugno di ferro è ancora ben dentro la testa di tanti.
Una vergogna annunciata quella dei fascisti italiani, così vicini ai loro cugini nazisti, perché nulla regala visibilità come il calcio ed infatti anch’io oggi, nel mio piccolo, sto parlando di questa gente, ma davvero non si può più fare finta di ignorarli.

Se e quando succederà che Cesare Prandelli lasci la panchina viola, il tutto avverrà alla luce del sole, con una sua conferenza stampa, guardando metaforicamente negli occhi la città.
Perchè questa è la cifra dell’uomo, la sua onestà verso se stesso e gli altri.
La storia del passaggio alla Juve non esiste, o meglio: esiste solo nelle voglie bianconere, ma poi si si ferma lì.
Prandelli è troppo onesto per rescindere unilateralmente un contratto e ha già dimostrato con l’Inter (bastava una sua minima disponibilità e Moratti sarebbe arrivato di corsa) che ai soldi dà il giusto peso.
Se poi mi sarò sbagliato, sarà una delusione, tra le più grosse certamente della mia vita professionale.

A me non era mai capitato di trattenere le lacrime allo stadio, nanche nel novembre scorso, nel minuto di raccoglimento per ricordare Manuela Prandelli.
Mi sono salvato perché ero in diretta, salvato per modo di dire perché non sta scritto da nessuna parte che un uomo di 48 anni non debba piangere.
E anzi, se noi maschi dessimo un po’ più spesso libero sfogo alle nostre emozioni forse il mondo andrebbe meglio.
Roberto vestito di viola che spinge la carrozzina di Stefano è una botta al cuore, quei primi piani sul maxi schermo, il tempo che si è fermato nei volti dei grandi campioni di ieri (a proposito: grazie Milan, grandissimo!).
Su Baggio mi piace credere che ci sia qualcosa di molto particolare: entro stranamente in ritardo allo stadio, cioè solo 75 minuti prima, e lo incrocio mentre si sta infilando negli spogliatoi.
Ci abbracciamo dopo una vita che non ci vediamo ed è veramente come racconto spesso a Valentina e Camilla: è stato ed è uno dei pochi che regala emozioni.
Poi, nel caos del dopo partita, provo a dare la linea a Russo, ed è proprio quando sta uscendo Roberto inseguito da tutti.
Fabio gli urla che vorrebbe fare un’intervista per la radio di Guetta e lui si ferma…
Su Stefano non voglio e non posso aggiungere altro a quello che ho scritto stamani per il Corriere e quindi, per una volta (scusatemi…), ripropongo il mio articolo perché racconta di quello che ho provato ieri pomeriggio.

Il “ciao David” mi arriva improvvisamente dritto al cuore dalla voce metallica del sintetizzatore. Me ne stavo defilato, accanto ad Amerini e dietro ad Orlando e Roggi, che scherzavano, ma fino ad un certo punto, sul prossimo impegno sociale, un’amichevole tra Italia e Turchia a Istanbul per raccogliere fondi contro la SLA. “Ho cinquemila malati con me”, scrive con gli occhi al computer Stefano. “Dobbiamo farla, sta organizzando tutto Terim”, lo sprona Roggi. “Partiamo subito”, è la risposta che spiega più di tante altre cose la sua voglia di combattere. Mi sposto di mezzo metro e mi infilo timidamente dentro il suo campo visivo. Sono passati più di sedici anni dall’ultima volta che ci siamo visti: io sono invecchiato, lui no. Davvero, è sempre uguale. La malattia gli è entrata da dietro con un tackle da espulsione, ma il viso e soprattutto gli occhi sono quelli che mi ricordavo, sono quelli dei suoi vent’anni. Mi riconosce subito e mi saluta. Non
sapeva che sarei andato a trovarlo per regalargli il contributo audio di tanti suoi amici del calcio e anche il racconto originale dei suoi indimenticabili gol all’Inter e alla Juve. Dieci secondi di emozione pura e poi tutto diventa fluido. Si ride e si scherza come se la “stronza” (così Stefano chiama la SLA) non avesse mai bussato alla sua porta. La vittima designata è Orlando, lui lo esalta sinceramente: “eri fortissimo, avresti dovuto giocare 60 partite in Nazionale”, io lo smonto, “guarda che ti sbagli. Era bravissimo, è vero, ma soprattutto fuori dal rettangolo verde”. Massimo ride e risponde alle battute. All’inizio era quasi commosso, imbarazzato, poi anche a lui sembra del tutto normale stare lì a giocare con l’antico compagno. Nella camera di ospedale ci sono anche due vecchi amici, uno è Aurelio Virgili, il figlio del grande Pecos Bill. Nella vita sarebbe uno stimato uomo di affari, che si occupa di finanza, ma ora è vestito da
calciatore della Fiorentina e accudisce Stefano come se fosse uno dei suoi figli. In disparte rimane Amerini. Fu Borgonovo a suggerire all’amico Pallavicino di prenderne la procura, quando Daniele era poco più di un ragazzino. Non sa come entrare nel discorso e allora lo aiuto: “Guarda Stefano che ora scendiamo ancora di livello calcistico. Dopo essere passati da te ad Orlando, ora ci sarebbe pure Amerini…”. Risate e intanto le infermiere cominciano a spazientirsi: troppa confusione. Poi Stefano diventa serio e si preoccupa: “Ma quante persone ci saranno stasera?”. Gli risponde Virgili: “Beh, io ho chiamato i parenti, Moreno, Massimo e David hanno qualche amico, forse a due-trecento ci arriviamo”. Quando gli diciamo che ne arriveranno almeno venticinquemila, Stefano sorride: “Cazzo, bisogna fare bella figura”. Gli suggerisco che con lui in campo la Fiorentina non ha mai vinto contro il Milan, ma se lo ricordava benissimo da solo. “Lo so – risponde –
ci proveremo stasera, abbiamo Orlando, che è fortissimo”. Poi ci buttano fuori, ma con Stefano non finisce qui, il prossimo appuntamento è a casa sua, a Giussano.

SUL GIORNALE DELLA TOSCANA DI OGGI CI SONO DELLE BELLISSIME PAROLE DI BATISTUTA PER STEFANO
BENE, SONO MOLTO CONTENTO E SE POI CON LE MIE PUNZECCHIATURE HO SOLLECITATO L’INTERVENTO LO SONO ANCORA DI PIU’
GRAZIE QUINDI ANCHE A GABRIEL

CE LO METTI O NO?
Che tormentone la storia del secondo rientro di Antognoni. La squadra stava girando bene e al posto del capitano se la cavava egregiamente Onorati, poi schiacciato in carriera da responsabilità più grandi di lui. La Fiorentina aveva strapazzato l’Inter di Rumenigge e Altobelli per 3 a 0 con doppietta di Passarella e gol straordinario di Berti, al termine di una galoppata lunga cinquanta metri. La domenica successiva i viola erano impegnati a Verona e Antognoni smaniava dalla voglia di scendere in campo. Sembrava la sceneggiatura di un film di successo: il grande ritorno del capitano nello stadio dove per la prima volta si era accesa la stella del suo talento.
Niente da fare. Agroppi fece capire a tutti che la Fiorentina veniva prima delle esigenze di un singolo giocatore, fosse anche la bandiera viola degli ultimi dieci anni. Aveva ragione nella sostanza, ma sbagliò nella forma. Certe cose andavano spiegate con pazienza al campione, fatte digerire con un abile lavoro di psicologia per poi trovare insieme una versione diplomatica che non spaccasse la tifoseria. Al contrario, per Agroppi Antognoni era un giocatore come tutti gli altri e a Verona rimase malinconicamente in panchina per tutta la partita. Il risultato comunque dette ragione all’allenatore, perché i viola riuscirono a pareggiare per 2 a 2 in casa dei Campioni d’Italia.
Nella settimana successiva naturalmente non si parlò che dei rapporti tesi tra il tecnico ed il capitano, con la conseguenza di preparare malissimo la partita casalinga contro il Bari. Finalmente, al ventiduesimo della ripresa, al Comunale si riaccese la luce: Agroppi fece la grazia ed Antognoni ritornò in campo al posto di Onorati. Combinò poco ed il risultato non si sbloccò dallo zero a zero iniziale, ma Firenze aveva ritrovato il suo figlio prediletto. Purtroppo però non era più lo stesso Antognoni ammirato prima dell’infortunio e dopo ventun mesi di stop non poteva non pagare pegno. Cominciò così una staffetta con Onorati che invelenì l’ambiente e, dopo un’altra domenica in panchina contro il Torino, si arrivò alla vergogna di un assalto di alcuni tifosi ad Agroppi ai campini. Fu Passarella a mettere in fuga gli aggressori e a difendere fisicamente il tecnico, che però prese lo stesso qualche colpo. Quella fu la pagina più brutta di una stagione che poteva rappresentare il trampolino di lancio per puntare decisamente l’anno successivo allo scudetto.

L’APPLAUSO
Fu proprio contro il Bari nel girone di ritorno che ho assistito ad una delle scene più belle di oltre vent’anni di calcio. I pugliesi erano in piena lotta per non retrocedere e la Fiorentina, dopo essersi portata in vantaggio con Monelli, stava giocando un’ottima partita. Quel giorno Antognoni sembrava aver fermato il tempo e dominava incontrastato a centrocampo, gli avversari ne avevano quasi un timore reverenziale. A venti minuti dalla fine però Agroppi decise di toglierlo lo stesso, forse perché temeva un calo improvviso, ed in quel momento lo stadio Delle Vittorie di Bari scattò in piedi per una standing ovation. Non erano ancora i tempi delle ola e degli applausi a richiesta: in quel gesto degli avversari c’era tutto il riconoscimento di grandezza ad un campione che forse (e fu così) il pubblico di Bari non avrebbe più rivisto in campo.

BRACCIALETTI
Non si piacquero da subito e per anni continuarono a starsi cordialmente sull’anima. Nel 1985 Roberto Baggio era arrivato da pochissimo nel ritiro della Fiorentina quando Agroppi lo sorprese a fare comunella con Passarella e gli altri senatori viola. Ci fu una reprimenda furiosa del tecnico condita da considerazioni varie ed assortite sui suoi capelli lunghi e i dieci-braccialetti-dieci di Robertino. Quello fu un anno disgraziato per Baggio, di grande sofferenza fisica e morale. Le tante ricadute gli impedirono l’agognato esordio in serie A e alla società che lo controllava da vicino non piacevano troppo certe sue frequentazioni fuori dal campo. Giocò solo nel torneo di Viareggio e si fece male un’altra volta.
Nel 1988 Agroppi e Baggio si incontrarono di nuovo, invitati da Raffaello Paloscia negli studi televisivi di Rete 37, e fu ancora scontro. Nella trasmissione “Calcio parlatoâ€? non si vide niente, ma il dietro le quinte fu imbarazzante perché i due si dissero finalmente tutto quello che l’uno pensava dell’altro. Dopo dieci minuti di veleni, con Baggio che col suo tono pacato rivolgeva al suo ex allenatore accuse pesantissime, Agroppi se ne andò dagli studi amareggiato. E ancora adesso, a distanza di tanto tempo, non ho mai capito perché fra Agroppi e i giovani viola di quel tempo sia nato un grande feeling, mentre con il più forte di tutti le cose siano andate così male.

SE LO ACCHIAPPO…
Finalmente dopo cinque anni la Fiorentina riuscì a sconfiggere la Juve in casa e l’esultanza dell’ex granata Agroppi al secondo gol viola di Berti in contropiede venne giudicata eccessiva da vari commentatori. Una leggenda metropolitana fa risalire proprio a quel balzo la causa dell’inaspettato esonero del luglio successivo. In pratica, il palazzo del calcio non avrebbe gradito la troppa anti-juventinità di Agroppi e a Pier Cesare Baretti, diventato presidente al posto di Ranieri Pontello, fu chiesto di allontanare il tecnico di Piombino. A me pare troppo grossa per essere vera, però non si sa mai…
Nonostante quella prestigiosa vittoria, a causa delle troppe sconfitte esterne i viola non erano affatto sicuri di andare in Uefa. Bisognava giocarsi tutto a Pisa, in uno stadio che sembrava una polveriera perché in quella partita la squadra di Anconetani rischiava di finire in B. Fu una partita nervosissima, decisa da una doppietta di Passarella, in partenza per l’Inter, mentre Massaro e Galli erano già stati venduti al Milan. Le lacrime del portiere a fine gara, mentre stava andando a regalare la maglia ai suoi ormai ex tifosi dopo quasi un decennio passato in viola, sono uno dei ricordi più struggenti della recente storia della Fiorentina.
Nel dopo gara assistemmo increduli allo show di Anconetani, che ignorò la fresca retrocessione e parlò di un solo uomo: Aldo Agroppi, che nel recente passato aveva allenato il Pisa con ottimi risultati. Rubizzo dalla rabbia e pericolosamente in bilico tra un ictus e l’infarto, Romeo urlò che «quest’uomo l’avrebbe pagata cara, stavolta me l’ha fatta davvero grossa. Io l’ho salvato quando non era nessuno e rimesso in piedi quando era partito di testa (chiaro riferimento ad una crisi depressiva di Agroppi) e lui mi ricompensa così. Non avrò pace fino a che non mi sarò vendicato, vedrete chi è Anconetani!». Che avrebbe dovuto fare Agroppi? Consigliare ai suoi di giocare per perdere? Rinunciare all’Uefa della Fiorentina per permettere la salvezza del Pisa? Erano domande legittime, ma nessuno di noi ebbe il cuore ed il coraggio di rivolgerle ad Anconetani.

SMOBILITAZIONE
Venni ammesso anch’io al brindisi di addio di Ranieri Pontello il 4 giugno 1986, nell’intervallo della partita di ritorno di Coppa Italia contro la Roma. Dopo sei anni il presidente venuto dall’Australia, dove la famiglia aveva enormi interessi, lasciava, ma i Pontello restavano lo stesso padroni della società. Quell’addio era il segno più evidente di una smobilitazione ormai annunciata e concretizzatasi con la cessione dei tre più forti e vendibili: Passarella, Galli e Massaro. In quei dieci minuti di commiato Ranieri mi sembrò un po’ sopra le righe e forse cercò di mascherare con qualche bicchiere di troppo il dispiacere e la commozione per dover lasciare. Era stato un buon presidente, molto meno sanguigno del padre Flavio e del fratello Luca, che qualche volta si lanciavano in spericolatezze verbali inopportune. A Ranieri toccava spesso il compito di ricucire i rapporti con chi veniva investito dalle sfuriate dialettiche degli altri componenti della famiglia. Al suo posto arrivava dalla Lega calcio un grande giornalista, Pier Cesare Baretti.

VORREI PRECISARE CHE NON MI HA COLPITO IL FATTO CHE BATI NON VENGA (PENSO CHE DOMANI QUALCUNO DI QUELLI ANNUNCIATI NON CI SARA’), QUANTO L’ASSOLUTO SILENZIO.
SAREBBE COSTATO MOLTO DIRE DUE PAROLE PER SALUTARE E RICORDARE STEFANO ED INVITARE IL POPOLO VIOLA A PARTECIPARE?
HO SAPUTO CHE C’E’ STATO UN TENTATIVO DI CONTATTO FINITO NEL NIENTE

Dopo oltre trent’anni passati nell’ambiente, confesso di frenarmi sempre meno con furbi e facoceri ed essere perciò sempre meno diplomatico, cosa che comporta ovviamente qualche svantaggio.
Quello che sto per scrivere rientra quindi nella serie: ma chi te lo fa fare?
Nessuno, però mi nasce dentro e allora esterno.
La domanda è: come mai in questa lunga serie di grandi personaggi che da settimane scendono in campo fisicamente o idealmente per Stefano Borgonovo, e che comprende anche chi lo ha affrontato solo da avversario come Zenga e Bergomi, manca del tutto la voce di Batistuta, che pure è stato suo compagno di squadra?
Le risposte possono essere tre.
1 – Nessuno ha avvertito Bati dall’altra parte del mondo delle condizioni di Stefano, lui non possiede un computer e non ha alcun collegamento con l’Italia
2 – Bati ha provato disperatamente a mettersi in contatto con qualche suo amico giornalista per dare il proprio contributo, ma dall’Australia o dall’Argentina i collegamenti telefonici non funzionano da settimane
3 – Deve giocare a golf e perciò non ha tempo da perdere
Peccato, perchè la coppia delle meraviglie (Baggio/Antognoni) domani sera poteva diventare un trio fantastico, ma comunque godiamoci lo stesso l’avvenimento e corriamo a comprare il biglietto.

P.S. Vista l’ora, ovviamente non ho ancora letto i giornali: sarei felice di essere smentito.
E anzi, visto che questo è il blog più letto tra i miei colleghi, la mia puntura di spillo potrebbe essere lo stimolo per qualche bel collegamento telefonico in diretta alla faccia del Guetta…
Beh, una volta tanto sarei contento di prendere un buco.

P.P.S Leggo che mi si accusa di pettegolezzo, mettendo in relazione quanto scritto con ciò che avevo pubblicato la scorsa settimana. Scusate, ma cosa c’entra? Non ho mica detto che Bati è scappato con una ballerina o che la moglie ha una relazione con Maradona, ho solo fatto notare come manche all’appello un compagno di squadra ed il più grande giocatore della storia della Fiorentina.
E, ribadisco: domani tutti allo stadio!

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