Agosto 2008


Ora che torna Montolivo, il quesito si ripropone.
Ogni soluzione ha una sua validità ed una sua controindicazione e davvero qui ci vuole il carisma di Prandelli per dirimere la vicenda, quando non gioca Dainelli.
Altrimenti è chiaro e giusto che la fascia la porti lui, per anzianità e anche per attaccamento alla maglia viola, di cui tra l’altro è sempre stato tifoso.
Siccome sono figlio del calcio anni sessanta e settanta, la mia preferenza andrebbe su Donadel e in seconda battuta Jorgensen (a proposito, ma come sta?), però non ho convincimenti radicati sull’argomento e mi dichiaro pronto ad appoggiare qualsiasi iniziativa prandelliana.
Prima che la scelta venga compiuta confesso che non mi entusiasmano ne’ Montolivo e neanche Mutu, trovando inoltre bizzarra l’ipotesi di averne uno in campionato ed uno in coppa.
Attendiamo, con un pizzico di curiosità, condivisa, credo, anche dallo spogliatoio.

Oltre ogni aspettativa, davvero.
Talmente bravi e superiori da avere qualche rimpianto per il risultato, che poteva essere molto più rotondo ed invece adesso un minimo margine di rischio a Praga c’è.
Melo è stato impressionante, ho quasi l’impressione che in campo si dilati, nel senso che cresca fisicamente perché poi, a vederelo da vicino, non sembra così grosso.
A me è piaciuto moltissimo Gilardino, che ha capito al volo le critiche di Prandelli: non è più al Milan, qui deve giocare in maniera diversa, aiutare la squadra, non stare sul filo del fuorigioco.
Comunque è bene che stazioni a lungo dalle parti dell’area di rigore avversaria perchè ha il santo istinto del killer negli ultimi 16 metri.
Vogliamo poi dire bravo a Dainelli e contestare quella ventina di incontentabili che al primo lancio sbagliato, dopo tre perfetti, lo hanno fischiato dalla tribuna?
Chiudo con Prandelli e con il pubblico: non ci sono più parole…

Per gentile concessione dell’editore Scramasax, prossimo libro in uscita: “Fiorentina-Juventus, la partita della vita”

1981/82

Tutto nacque per caso, nel 1981. Ero proprio un cane sciolto: non avevo sponsor e nemmeno agganci politici, ero sostanzialmente timido, ma da un decennio mi ero messo in testa di diventare giornalista. Da quattro anni avevo scoperto il rutilante mondo radiofonico, da due ero a Radio Blu, dove mi avevano dato una fiducia che non ho mai dimenticato. Ci voleva un’idea, qualcosa di diverso. No, non la radiocronaca, a quei tempi non ci pensavo proprio. Sapevo che ogni tanto da qualche misteriosa stazione in F.M. spuntavano cronache locali degli incontri della Fiorentina, ma erano inascoltabili per l’audio e per la confusione con cui erano descritte le azioni. La scintilla giusta scoccò all’improvviso e per la prima volta sentii nascere dentro di me quella tumultuosa sensazione di voler fare tutto e subito che tante altre volte mi avrebbe fregato in futuro. Prestavo servizio militare a Falconara Marittima, era un luglio torrido e improvvisamente mi venne in mente che a pochi chilometri da lì, a Cattolica, passava le sue vacanze molto casalinghe Eraldo Pecci, appena acquistato dai Pontello insieme a Graziani, Vierchwood, Massaro e Monelli. Se avessi potuto, avrei lasciato lì in piena notte la baionetta per precipitarmi a cercarlo e proporgli di venire a condurre con me una trasmissione. Dovetti aspettare due giorni, che mi sembrarono un’eternità. Arrivai a Cattolica, trovai Pecci in compagnia della splendida moglie Manuela e gli rovesciai addosso mille tesi a supporto della validità della mia proposta. Negli anni successivi non gli ho mai chiesto cosa pensasse di quel ventenne che disegnava tumultuosamente scenari mediatici a lui sconosciuti. Alla fine Pecci accettò, per centomila lire a trasmissione. In più convinsi il proprietario di Radio Blu, Rinaldo Pieroni, ad investire una discreta somma per un rimborso spese che mi avrebbe consentito di andare sempre a seguire la Fiorentina in trasferta, per realizzare interviste da proporre nel Pentasport del lunedì. Niente radiocronaca, tanto non le avrebbe sentite nessuno, solo le parole dei protagonisti.

SAN SIRO
Una giornata piovosa di fine settembre e poi il sole, una bella ragazza bionda che si toglie le scarpe e cammina felice in mezzo alle pozzanghere, io che regalo l’accredito della mia prima volta nello stadio simbolo del calcio italiano al mio amico Alessandro Canalicchio e vado con lei a vedermi la partita nel secondo anello. Ero emozionato come un bambino che entra a Eurodisney. San Siro è monumentale, fuori ci sono le targhe dei loro successi, tanti anche nei primi anni ottanta. La Fiorentina aveva vinto all’esordio in campionato rubacchiando un po’ contro il Como e adesso c’era il Milan di Radice, profeta in patria, Jordan, Tassotti e Battistini. Brutta partita, zero a zero finale ed una maledetta traversa di Graziani, “generosoâ€? come al solito. I viola si imposero poi a Catanzaro e in casa con l’Avellino, ma persero a Roma subendo un gran gol di Pruzzo, da ricordare per l’eccezionale colpo di tacco di Falcao che liberò il centravanti di Liedholm davanti all’incolpevole Galli. Poi ancora alti e bassi, culminati con l’inaspettata sconfitta di Cesena. La domenica dopo il nostro cuore cessò di battere per qualche secondo, insieme a quello di Giancarlo Antognoni.

ANTONIO, MON AMOUR
La mattina di quel freddissimo 22 novembre 1981 mi produssi in una delle poche spericolatezze della mia vita di centauro. Colpito da un attacco di improvvisa imbecillità, cercai di guidare la vecchia Honda 350 a mani incrociate, con il logico risultato di finire lungo disteso sull’asfalto. Sbertucciato e spaventato, mi presentai lo stesso allo stadio convinto della riscossa viola e non sapendo di stare per assistere a ben altro dramma. Quello che è successo lo sanno tutti: la folle uscita di Martina, l’impatto con la testa di Giancarlo, la disperazione dei giocatori fiorentini e dei genoani, il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca dell’incommensurabile “Pallinoâ€? Raveggi, la corsa all’ospedale, la paura di una città.
Solo in quell’anno Antognoni cominciava ad avere accanto a sé gente che gli assomigliasse almeno un po’ tecnicamente. Prima dell’ottima campagna acquisti dei Pontello del 1981, noi ragazzi di fine anni settanta avevamo vissuto una specie di schizofrenia calcistica: c’era la Fiorentina, mediocre, e c’era Antognoni, immenso. Ogni estate era il solito tormentone, con le grandi che lo richiedevano e i dirigenti viola che dicevano puntualmente di no, salvo poi comprare uno Zagano qualsiasi per “rafforzareâ€? la squadra. E poi c’era il rito polemico della Nazionale. Per noi di Firenze era palese il boicottaggio di Causio, Bettega e di tutta la banda di juventini che, pur di non farlo brillare, non gli passavano mai il pallone. Ero tra quelli che mettevano la foto di “Antonioâ€? accanto alla tv quando giocavano gli azzurri, così, tanto per urlare al mondo che lui era speciale e diverso dagli altri. Sette mesi e mezzo dopo la follia di Martina, non fui capace di esultare pienamente per il Mundial spagnolo, perché nella finalissima tifavo segretamente per un pareggio. In questo modo si sarebbe ripetuta la partita e Antognoni, immolatosi alla causa azzurra nella semifinale contro la Polonia, avrebbe potuto giocare. E non ero l’unico a Firenze a pensarla così… Una delle soddisfazioni più grandi fu leggere che lo avevano eletto migliore in campo nella parata di stelle a New York, andata in scena un mese dopo la maledetta sfida di Madrid. Antognoni più di Platini, Rossi, Rumenigge, Conti, Falcao, Boniek, Zico: noi lo avevamo sempre saputo che era il più bravo, gli altri cominciavano (forse) a capirlo adesso.

SENZA DI LUI
Il calcio è mistero agonistico. La definizione è di Gianni Brera, una delle più azzeccate tra le sue mille che ci accompagnano da oltre quaranta anni. Improvvisamente si scoprì che senza Antognoni la squadra girava meglio, forse perché tutti davano qualcosa in più per far vedere che ce la potevano fare lo stesso. In quei giorni sfruttai la conoscenza con Miani, che all’inizio della stagione nessuno considerava e che era destinato ad indossare la maglia numero dieci.
Nella settimana successiva all’infortunio del capitano e prima della trasferta in casa della Juve, Miani mi confidò di non essersi mai sentito così bene in vita sua e di non avvertire assolutamente il peso della sostituzione. A pensarci bene non si poteva che essere d’accordo con lui: aveva 25 anni, era nel pieno della carriera e nessuno avrebbe mai fatto paragoni con uno dei migliori calciatori del mondo. Insomma, da quella avventura Miani non avrebbe avuto altro che da guadagnare. La galoppata viola nelle partite successive fu entusiasmante e cominciò con un pareggio per zero a zero a Torino, incarognito da una traversa colpita da Daniel Bertoni a Zoff battuto. Sembrava un punto benedetto ed invece era un punto perso perché, se fosse entrato quel pallone, nell’albo d’oro della Fiorentina adesso ci sarebbero stati tre scudetti.

SEMPRE PIU’ SU
Tutto girava alla perfezione. A Bologna Pecci azzeccò un tiro straordinario e pochi minuti dopo, qualche fila sotto la mia postazione, si accasciò Piero Pasini, voce storica della Rai, colpito da infarto e morto nel “suoâ€? stadio. I gol a ripetizione di Graziani e Bertoni stesero Napoli e Inter in casa, l’entusiasmo era alle stelle.
Intanto compivo il mio apprendistato radiofonico proprio con Pecci, che mi massacrava dialetticamente con continue battute e prese di giro. Facevo finta di non prendermela, ma in verità ci soffrivo molto, non capendo che stavo imparando qualcosa. Spesso venivano fuori aneddoti sui compagni di squadra di Torino e Bologna o sulla Nazionale. Come quella volta in cui al Mondiale argentino, in omaggio ai clan, i giocatori di Torino e Juve si divisero in due gruppi ben distinti per partecipare a dei “simpaticiâ€? convegni organizzati da alcune compiacenti signorine di Buenos Aires. Fra quelli del Toro c’erano pure degli infiltrati, ma solo in nome del gemellaggio tra le due tifoserie… Se Pecci avesse studiato fino all’università, sarebbe diventato un ottimo manager, ma anche così non se l’è cavata male. Aveva la fissa di voler prendere un ingaggio superiore di cinquanta milioni a quello di Antognoni, e ci riusciva sempre (o così almeno diceva), sfruttando il grande ascendente che aveva su Flavio Pontello. «E’ il più intelligente fra i miei dipendenti che tirano calci ad un pallone», raccontava divertito il Conte, e forse non aveva torto. Una sua massima, “il pallone corre sempre più veloce di qualsiasi giocatoreâ€?, l’ho utilizzata ogni volta (cioè quasi sempre) in cui venivo accusato di essere lento nelle mie scarse prestazioni calcistiche.

UDINE
«Ma lei vuole anche il telefono per fare la radiocronaca?». Il telefono? E che me ne facevo del telefono, e che mi importava di fare la radiocronaca? A me interessava solo avere l’accredito per la tribuna stampa e per fare le solite interviste a fine partita. Il 10 gennaio 1982 io e Rinaldo arrivammo a Udine dopo sette ore di treno, con una temperatura a mezzogiorno di meno dieci. Dopo un quarto d’ora di gara il freddo era diventato così insopportabile che chiedemmo asilo politico a Sandro Ciotti, che stava commentando la partita al caldo della cabina di “Tutto il calcio minuto per minutoâ€?. Da lì vedemmo segnare Bertoni, pareggiare Muraro e infine Graziani far vincere la Fiorentina, in un tripudio di bandiere viola. In settimana avevo fatto una scommessa con Picchio De Sisti per cui, se avessimo vinto, lui avrebbe parlato prima con me e poi con Rai e giornali. Lo fece e, lo confesso, provai una leggera vertigine, ma non solo per quello. Avevamo due punti di vantaggio sulla Juve ed eravamo quindi matematicamente campioni di inverno. Senza Antognoni, ma con la squadra caratterialmente più forte del campionato. Nessuna invidia nello spogliatoio e davvero tutti per uno e uno per tutti, alla faccia di chi ci considerava al massimo da Uefa.

CIUFFI PER CASO
Non è che il gioco fosse brillantissimo, ma in difesa con Galli, Vierchwood, Contratto ed il miglior Galbiati possibile, non passava nessuno. Ad Ascoli pareggiammo zero a zero in una partita che mi è rimasta nella memoria per il prima e per il dopo. Mi avevano rifiutato l’accredito per entrare in tribuna stampa e rimasi un paio d’ore ad elemosinare l’ingresso ai vari dirigenti dell’Ascoli che si avvicendavano nei paraggi. Alla fine, scocciati e forse impietositi, mi fecero entrare proprio al fischio di inizio. Il dopo gara fu caotico, c’erano state contestazioni per un rigore non fischiato all’Ascoli e i teppisti locali cominciarono a spaccare le macchine targate Firenze. Non è un caso che due anni dopo gli unici due ceffoni in ventidue anni di trasferte li abbia presi proprio ad Ascoli. Nel parapiglia generale mi ritrovai così quasi spinto dalla folla su un pullman ancora integro e vidi là in cima, vicino al guidatore e a mo’ di capoclasse, un signore di una cinquantina d’anni che si agitava come un matto. Era Ciuffi, ancora misconosciuto alla platea televisiva, ma già trascinante e acclamato da quelle decine di persone a cui lui pagava tutto. In quanti si sono approfittati di Ciuffi in quegli anni di sfrenata ed illogica allegria finanziaria, magari gli stessi che poi lo hanno vessato nelle stagioni più amare. Gli ho voluto bene da subito, qualche volta mi sono arrabbiato, spesso mi è sembrato di fargli da babbo, credo che in tanti gli debbano qualcosa.

IL RITORNO
Un altro pareggio maledetto a Torino, con annesso discutibile rigore per i granata, e siamo all’incredibile rientro di Antognoni. Incredibile perché anticipato, e di molto, sui tempi previsti per il recupero, dopo il terribile infortunio alla testa. Il 21 marzo 1982 al Comunale (non ancora Franchi) contro il Cesena, l’aria era da attesa messianica. Nessuno aveva notizie certe, tutti aspettavano trepidanti l’annuncio delle formazioni. Siccome me lo sentivo che sarebbe tornato, registrai la voce dello speaker e nella cassetta rimase inciso prima quel cognome e poi il grido di gioia di una città che riabbracciava il figlio prediletto. Antognoni giocò bene, mandò in gol Casagrande e vincemmo con il solito uno a zero. La settimana successiva, in un clima da guerriglia urbana, pareggiammo a Marassi contro il Genoa e potevamo vincere. Poi l’inutile zero a zero in casa con la Juve, la vittoria, naturalmente per uno a zero, contro il Bologna ed infine il “suoâ€? capolavoro a Napoli.
Una cosa fantastica. Mancano otto minuti alla fine, il risultato non si sblocca e la Juve sta vincendo in casa contro l’Inter. Ad un certo punto Massaro, vera e propria rivelazione del campionato, prende il pallone e parte in contropiede tagliando fuori quasi tutta la difesa partenopea. Passaggio ad Antognoni, che vede Castellini un po’ fuori dai pali: tiro a metà tra il pallonetto e lo “shootâ€? puro e gol spettacolare che vale l’aggancio ai bianconeri. Vado in estasi. Nello spogliatoio un solo tormentone per il capitano: “cosa rispondi a chi sosteneva che la Fiorentina senza di te era più forte?â€?. “Nulla, mi interessa solo vincere il campionatoâ€?. Nel viaggio di ritorno in treno passai tre ore a dormire per terra in una carrozza inondata di viola. Arrivai a casa a tarda notte, lercio ma felice.

SCIAGURATO CASAGRANDE
Quanti gol sbagliò Casagrande a San Siro contro l’Inter il 2 maggio 1982? Sei, sette, ma forse è la rabbia che ancora non mi è passata a confondermi un po’ la memoria. Riepiloghiamo: la Juve recupera Paolo Rossi dopo la squalifica e va a giocare a Udine, noi invece andiamo a San Siro senza cinque titolari e facendo addirittura esordire in difesa il giovane Baroni. Fa un caldo assassino e Daniel Bertoni, che in assenza di Graziani avrebbe dovuto prendere in mano la squadra in attacco, si defila completamente, andando spesso a cercare le poche zone d’ombra di un pomeriggio afosissimo. Ciò nonostante, l’organizzazione di gioco di De Sisti funziona alla grande e mettiamo sempre uno davanti a Bordon. Solo che quell’uno è lo sciagurato Casagrande, che sbaglia tutto. Lui si mangia i gol e noi il fegato. Pareggiamo, la Juve vince addirittura per cinque a uno e ci passa davanti. Meno male che la domenica dopo “Giaguaroâ€? Castellini, oltre che per il Napoli, gioca anche per la Fiorentina: para tutto a Torino, inchioda i bianconeri sullo zero a zero mentre noi strapazziamo la solita Udinese per tre a zero. Siamo primi a pari merito.

IL PROCESSO
La settimana prima della fatale Cagliari accadono cose strane. Il primo giorno di un’attesa lunghissima e snervante va in scena “Il processo del lunedìâ€?, che parla solo del clamoroso acquisto juventino di Platini ed è tutto un fiorire di previsioni su quanto il fuoriclasse francese sarà utile perché i bianconeri riescano finalmente a vincere la loro prima Coppa dei Campioni. Come sarebbe a dire Coppa dei Campioni? Fiorentina e Juventus sono a pari punti ad una giornata dal termine e tutti sono sicuri che Platini e Boniek giocheranno in Coppa dei Campioni. Da dove i vari Cazzaniga, Cascioli e De Cesari traggano le proprie convinzioni è un mistero che verrà risolto solo alle 17 e 45 del 16 maggio 1982. Da quel giorno ho sempre digerito mal volentieri il Processo e mai avrei potuto immaginare che sarei stato uno dei protagonisti dell’ultima storica puntata biscardiana alla Rai nel giugno di undici anni dopo.
Poi c’era la storia dello spareggio, che avrebbe stravolto la preparazione della Nazionale di Bearzot in vista dei Mondiali spagnoli. Era vero, ma che cosa si poteva fare? Magari assegnare lo scudetto a tutte e due le squadre, però il regolamento non lo prevedeva. Meglio, molto meglio, che lo spareggio non ci fosse e che a vincere fosse una sola. Ma senza dimenticare che Platini doveva giocare in Coppa dei Campioni…

CAGLIARI
I tifosi viola: “coloreremo il mare di viola!â€?. Il conte Flavio Pontello all’aeroporto di Elmas: “Agnelli? Ma via, è solo un metalmeccanicoâ€?. Battute. Sogni. Bischerate in libertà. Tutto è permesso nella settimana che precede uno scudetto. Andammo in diecimila a Cagliari e non dimenticammo mai più quei giorni. Ero personalmente stravolto perché avevo avuto informazioni, poi rivelatesi sbagliate, sulla modifica da lì a pochi mesi del mio stato anagrafico e la futura eventuale mamma proprio non voleva che la lasciassi sola. Partii lo stesso con Maurizio Passanti, il mio amico di sempre. Pur avendo all’epoca un’esperienza minima del calcio, rimasi colpito dalla scelta dell’albergo viola: Hotel Mediterraneo, sulla strada principale della città. Un po’ troppo sulla strada principale per resistere all’assalto festoso dei nostri tifosi che consideravano già vinto lo scudetto. L’indirizzo naturalmente lo conoscevano benissimo anche i cagliaritani, che passarono buona parte della notte a strombazzare là sotto con le macchine e a urlare ossessivamente un “forzaccagliariâ€? che mi pare di sentire ancora adesso. La mattina della partita il popolo viola reclamò qualcuno alla finestra per un discorso della vittoria, una circostanza che evidentemente ha sempre portato sfiga, nel 1940 come nel 1982. Si affacciò Massaro e assicurò tutti che avremmo conquistato il tricolore, si intravide anche la sagoma di Galli che si stava facendo la barba, ma siccome Giovanni è sempre stato un saggio, preferì tacere. Arrivammo al Sant’Elia con un anticipo di circa due ore rispetto al fischio di inizio del “ricordato per sempre Matteiâ€?. Qui però si incorre in un falso storico, perché il vero furto del tricolore non si perpetrò nel momento in cui il “principe di Macerataâ€? annullò un gol di Graziani per fallo di confusione (un po’ come avrebbe fatto diciannove anni dopo De Santis con Cannavaro in un famoso Parma-Juve). E nemmeno è da discutere il rigore pro-Juve di Catanzaro, perché il tiro di Fanna venne effettivamente bloccato con la mano quasi sulla linea. No, il vero furto fu il mancato rigore concesso al Catanzaro sullo zero a zero, per un’evidente gomitata in area di Brio a Borghi. Evidente per tutti, ma non per l’infido Pieri, che non fischiò. Quando Brady, già sbolognato alla Sampdoria, segnò dagli undici metri, immolai al mancato scudetto la fedele radiolina con cui da anni seguivo “Tutto il calcio minuto per minutoâ€? e la frantumai in mille pezzi per la rabbia. La gara di Cagliari era stata preparata malissimo, giocata peggio e di sicuro non eravamo preparati con la testa a certe sfide, però il tricolore ce lo avevano letteralmente rubato. Nella calca dello spogliatoio le prime parole di De Sisti (come a Udine) furono per me: «Aho’, ma che me lo vuoi fa’ magna’ questo registratore?». In effetti gli ero vicino, ma non più delle altre volte, solo che questa era una volta speciale.
Nel tardo pomeriggio di una splendida giornata quasi estiva, mentre rientravo all’albergo con un magone inestinguibile, mi chiedevo quando mai ci sarebbe capitato di andare così vicino a vincere quello scudetto che per me era sempre stata solo una storia del passato. Una favola raccontata ad un bambino di otto anni, mischiata a qualche partita vista e al ricordo di una città vestita a festa nel maggio del 1969. Entrammo in un bar e “succhiammoâ€? le immagini di Catanzaro, Trapattoni e Boniperti che facevano i complimenti di rito alla Fiorentina, Bearzot contento per il mancato spareggio, mentre a noi mancavano le parole. Le trovò due giorni dopo Paolo Melani che con il suo Brivido Sportivo distribuì un adesivo destinato ad entrare nella storia di Firenze: MEGLIO SECONDI CHE LADRI.

SCOOP MONDIALE
Come sia andato il mondiale spagnolo lo sanno tutti, silenzio dei giocatori compreso. Ciò che nessuno sa è che il silenzio stampa più famoso della storia del calcio è stato infranto per ben due volte a Radio Blu da Antognoni e Graziani, miracolosamente pescati prima della semifinale con la Polonia e della finalissima contro la Germania. Entrambi accettarono di parlare in barba ai divieti e la cassetta della registrazione è sigillata nel cassetto dei ricordi più cari. Col senno di poi ho pensato che avrei potuto telefonare ad un giornale e “vendereâ€? le interviste, ma non ero nessuno e se avessi chiamato qualche redazione avrebbero pensato ad un mitomane. Se invece avessero accettato, avrei messo in grande difficoltà i due azzurri-viola. In fondo è stato meglio così, quelle interviste, adesso, restano solo una cosa mia.

Leggetevi, chi ne ha la possibilità, quello che ha scritto l’ottima Franca Selvatici su Repubblica-Firenze, a proposito della violenza subita dalla ragazza fiorentina alla Fortezza da Basso.
Provo maldestramente a sintetizzare: si parla di un rovesciamento mediatico dei ruoli, di un forcing dei parenti e amici dei sei giovanotti che avrebbero commesdo il reato.
Si cerca di far passare su blog e forum la sfortunata protagonista della vicenda come una facile, una che ci stava con tutti, addirittura una che era consenziente, che voleva l’ammucchiata e che poi ci ha ripensato.
Io, senza conoscere le varie deposizioni, sono lo stesso nauseato.
Perchè può anche succedere che una ragazza beva qualche bicchiere di troppo e che poi lasci intravedere una conclusione di serata piccante, ma se poi dice no DEVE ESSERE NO.
Altrimenti non capisco cosa distingua gli uomini dalle bestie.
E premesso che alle mie figlie sconsiglierei sempre di trovarsi in simili situazioni, qualcuno mi dovrà spiegare perchè mediaticamente (ma non solo) debbano essere sempre concesse attenuanti più o meno generiche a chi stupra donne che magari con tizio in questione volevano solo parlare appartate, scherzare o anche scambiarsi un bacio, ma fermarsi lì.
Aspettiamo chiaramente di vedere come andrà a finire, ma è tempo di cambiare questa nostra mentalità marcia e figlia di millenni di penoso maschilismo.

Campagna acquisti impensabile, credo che dietro ci sia lo zampino di Andrea Della Valle, che, fortunatamente per noi, si è un po’ fatto prendere la mano e ha comprato tanto e non ha venduto Mutu.
Adesso passa tutto nelle mani di Prandelli, mani esperte, che dovranno scegliere sempre il meglio dalla rosa e non sarà per niente semplice.
Anche perché appena le cose non dovessero andare benissimo si invocherebbe immediatamente l’inserimento di quelli che stanno fuori, che logicamente sono fortissimi sulla carta.
Ci converrà invece stare molto tranquilli e giudicare la Fiorentina in un’ottica generale, senza farsi prendere dall’esaltazione o dalla depressione di un risultato.
Questo è un progetto importante, che promette di durare nel tempo.

Solo una piccola nota storica: il libro è stato scritto durante la stagione della C2, quindi nei mesi successivi al fallimento dell’agosto 2002.
“La mia voce in viola” viene pubblicata sul blog per gentile concessione dell’editore Luca Giannelli della Scramasax – Prossimo libro in uscita, dal 31 agosto, “Fiorentina-Juventus, la partita della vita”.

INTRODUZIONE

Il primo agosto 2002, alle tre del pomeriggio, mi chiamò al telefono mia figlia Valentina, di sette anni, per chiedermi se fosse vera la notizia della morte della Fiorentina. Alla mia risposta affermativa, cominciò a piangere disperata. Non sapevo proprio cosa dirle per consolarla, inutilmente provai a spiegarle che saremmo ripartiti con una nuova società e comunque sempre con la maglia viola.
Questo libro nasce dalla voglia di raccontare a chi c’era e a chi non c’era cosa sia stata la Fiorentina negli ultimi ventuno anni. Io ho avuto la fortuna ed il privilegio di viverla da dentro, come mai avrei immaginato di poter fare quando da bambino andavo a vederla in curva. Mi ha fatto godere e soffrire, rimanendo sempre una compagna insostituibile ed incapace di tradire. Solo uccidendola potevano cercare di portarmela via.

IL SALUTO DI ROBERTO BAGGIO

Una Porta nel Cielo e il Sogno Dopo, i due libri che compongono la mia autobiografia, hanno contribuito a farmi passare per scrittore, cosa che non sono.
Così sta capitando che in molti chiamano Vittorio Petrone per avere una mia introduzione, un racconto, una qualsiasi forma di intervento letterario.
Quando mi è arrivata tra le mani la richiesta di David non ho potuto fare a meno di ricordarmi il primo appuntamento per un’intervista che non si fece, così come molte altre chiaccherate finite poi sui giornali. Però, l’ho sempre vissuto appasionato e onesto, impregnato d’amore profondo per i viola.
David ha regalato a tutti i tifosi viola la sua passione e la sua professionalità, doti queste, non proprio comuni a tutti.
Oggi, con questo libro, ripercorre spazi di storia calcistica dove si fondono analisi tecniche e giudizi personali ma in ogni caso emerge forte e chiaro il suo appasionato trasporto. Lo stesso trasporto che in qualche occasione ha finito col causarmi qualche imbarazzo, però l’ho sempre perdonato.
Buona fortuna David

Roberto Baggio

IL SALUTO DI FRANCESCO TOLDO

Caro David,
leggendo fra le righe del tuo racconto mi passano dei flash per la testa contenenti otto anni di vita calcistica e non che ho vissuto a Firenze e … sono ricordi che inumidiscono gli occhi. Eh sì, ogni volta che penso alla Fiorentina non riesco a non commuovermi! Ricordo momenti duri come nell’estate 93, quando nel ritiro estivo di Roccaporena irruppero alcuni tifosi viola nelle camere d’albergo per discutere con i ragazzi colpevoli della retrocessione in B. Momenti duri, come la scomparsa del presidente Mario Cecchi Gori, o come la contestazione contro alcuni giocatori al termine della partita di Coppa Italia nel 94 contro il Venezia: il “colpevole Effenberg” minacciato per la B e per aver sbagliato il rigore della qualificazione. Momenti duri come la fine del campionato 96/97, quando mi presero di mira sbeffeggiandomi per alcune papere. Momenti duri come l’avvicendarsi di dirigenti con una facilità incredibile…, ho pensato ma dove c… sono finito?
In quegli anni, queste situazioni le vivevo con tanta partecipazione diretta e ho sofferto molto quando veniva toccata la mia persona. Ora invece, a distanza di anni, sorrido e penso: “Francesco, tutte esperienze che servono a crescere, sicuramente ora le affronterei con più maturità e serenità”, e giù una risata.
E voglio arrivare al meglio, e cioè alle cose positive vissute a Firenze. Momento bello quando commisi il primo errore, al Franchi contro il Pisa. Stavamo vincendo fino a quando, uscendo in tuffo basso sull’uomo lanciato a rete, finisco fuori area e lascio il pallone all’avversario, che sbigottito lo calcia in porta vuota. Quel giorno i tifosi si alzarono in piedi ad applaudirmi, facendomi capire la loro stima nei miei confronti. Da lì ho capito il calore della gente! Momento bello quando fummo promossi in A, e anche se era scontato per la città, non lo era affatto per me e per gli altri che provenivano dalla serie C! Facemmo festa da soli (quelli della C). Momenti belli furono la conquista delle due Coppe Italia (sicuramente la prima ebbe un effetto esplosivo per la gente, mentre la seconda fu condizionata dalla situazione societaria e meno entusiasmante) e della Supercoppa di Lega. Risultati così fecero star bene noi, i tifosi, e rinfrancarono tutta una città. Un momento bello fu l’arrivo della squadra all’aeroporto dopo il record di Gabriel Batistuta a Napoli: impressionante vedere la gente tanto contenta da innalzare bandierine gialle prese da tutti i campetti. Momenti belli furono quelli legati alla qualificazione in Champion’s Leaugues e ad alcune prestazioni europee (Kanu sbiancato fu). Momenti belli furono vedere sempre 35 mila tifosi assidui e costanti presenti allo stadio, e sentire i cori coloriti verso i giocatori viola. Ricordare tutto è impossibile, dovrei scrivere un libro, però momenti così li augurerei a qualsiasi giocatore di calcio del mondo, perché giocare nella Fiorentina è un’emozione particolare. La mitica Viola farà parte sempre di me, i ricordi non si cancellano, sono indelebili come gli amici che tuttora sono miei amici. Grazie Fiorentina.

Francesco Toldo

LA PREFAZIONE DI SANDRO PICCHI

L’anziana signora del piano di sotto aveva molta pazienza per i rumori causati dalla famiglia del piano di sopra, che era la famiglia Picchi. Un giorno in ascensore – l’imbarazzante banalità degli incontri in ascensore- l’anziana signora del piano di sotto mi disse qualcosa di un suo giovane nipote che “voleva fare il giornalista” e che aveva una gran passione per il calcio. Non aggiunse altro. Era una gran brava signora.
Risposi in maniera vaga, forse dissi soltanto “ah sì?”, mostrando un educato, ma temo evidente disinteresse. D’altronde, che altro potevo fare per il giovanissimo nipote dell’anziana signora se non incoraggiarlo (in definitiva, fare il giornalista è sempre meglio che lavorare) o vagamente scoraggiarlo, prospettandogli una serie di generiche difficoltà?
Temevo, tra l’altro, che prima o poi, dalla signora o dal nipote, mi venisse rivolta una fatidica domanda alla quale non ho mai saputo rispondere in maniera convincente: “come si fa a diventare giornalisti?”
La conversazione sull’argomento finì lì e non venne mai ripresa, ma anni dopo ecco che il nipote, quel nipote, era arrivato sulla breccia giornalistica.
Anzi, era in prima linea, visto e considerato che fare le radiocronache nelle condizioni spesso “estreme” in cui le faceva David Guetta (era lui il nipote di cui sopra) significava essere in prima linea. In trincea. Pronti ad esporre il petto alla palla nemica. Mi riferisco soprattutto ai primi anni, quando la radiocronaca, specialmente in trasferta, era avventura. Rischio. Contrabbando.
Qualunque cosa fosse, ci voleva fegato. Prima di tutto occorreva sfuggire agli ispettori della Lega, incaricati di proibirla, poi bisognava fare i conti con le ire del pubblico. Guetta era spesso a contatto con i tifosi avversari, se non addirittura in mezzo a loro, e quando la Fiorentina segnava un gol, prorompeva nell’ immancabile ed essenziale grido d’esultanza (incomparabbile, direbbe Biscardi) ripetendolo, senza imbarazzo, senza timore, senza freno, anche sette, otto, dieci volte. Nel silenzio – quel silenzio soltanto scalfito da una mormorante delusione che è il “sound” di ogni gol incassato dai padroni di casa– rimbombava l’altro “sound”, l’incontenibile esplosione di Guetta.
Nel contrariato pubblico delle tribune avverse lo sdegno si univa alla rabbia e per il radiocronista erano noie. Più di una volta ho riconosciuto la postazione di fortuna di Guetta dal tumulto che vi si accendeva attorno. Non si è mai trattenuto, non si è mai arreso. Eroico,ai miei prudenti occhi.
Le sue radiocronache sonoramente clandestine divennero ben presto popolarissime. A Firenze, i tifosi abbandonarono “Tutto il calcio minuto per minuto” per sintonizzarsi su Radio Blu che, la domenica, dava loro ciò che cercavano: la Fiorentina, la partita della Fiorentina, niente altro che la Fiorentina.
Gioia estrema in caso di gol viola e un sussurrato dolore quando segnavano gli altri. Quel bisbigliare accorato – qualcosa di simile alle condoglianze – finiva per essere vicino ai sentimenti della gente quanto lo era l’urlo, perché eliminava dalla radiocronaca la peggior cosa che si potesse ascoltare, cioè l’annuncio festoso di un gol segnato contro la squadra del cuore.
Quanti radiocronisti della Rai sono stati accusati di avercela con questa o quella squadra – Fiorentina compresa – per aver alzato un po’ troppo la voce nell’annunciare un gol, dando così l’impressione, a chi quel gol subiva, di aver gioito troppo? Tanti. Con Radio Blu questo rischio non si correva. Il gol incassato dai viola era appena accennato, con la dovuta, addolorata mestizia.
Il caso volle, quando Guetta era ormai diventato un divo del microfono cittadino, che si verificasse qualcosa di simile a ciò che forse la nonna di David si era augurata quel giorno in ascensore.
Guetta si era aggiudicato una borsa di studio di giornalismo e doveva fare tra l’altro anche un periodo di esperienza presso la redazione sportiva de La Nazione di cui ero il responsabile.
Un giorno, per metterlo alla prova, gli chiesi un’intervista. Unico dato a sua disposizione, nome e cognome della persona da intervistare: Miguel Indurain. Bisogna riconoscere che da Firenze, senza avere né un recapito , né un numero di telefono, né un’idea di dove fosse, in pieno inverno, il fuoriclasse del ciclismo, il compito da svolgere risultava tutt’altro che agevole, tanto più che Guetta non poteva avvalersi nei confronti di Indurain di quel rapporto di confidenza che poteva vantare con i calciatori viola. Un conto era Cois, un conto il plurivincitore del Tour.
Tempo a disposizione per portare a termine la “missione”? Due ore, quante ne aveva concesse un comandante giapponese ai suoi aviatori per decidere di diventare kamikaze. Guetta ci riuscì. Non a diventare kamikaze (forse lo era già), ma a rintracciare e a intervistare Indurain. Un episodio che testimonia la sua determinazione, la sua capacità di superare gli ostacoli.
Bravo e veloce non soltanto nelle radiocronache, ma anche come cronista, anche con la penna, come dimostra la disinvoltura di questa sua autobiografia – memorie viola e personali – alle quali non manca neppure l’autocritica. Una compagnia essenziale, nella vita.
Certo che da quanto Guetta scrive emerge un faticoso turbinare di rapporti. Scontri, riconciliazioni, minacce, riappacificazioni, litigi e abbracci. Un dietro le quinte che è la testimonianza di quanto Guetta sia stato protagonista, oltre che testimone, della vita quotidiana della Fiorentina. Protagonista. Certo. Lo è stato, in un modo così netto, così esposto da risultare una componente tradizionale delle stagioni della Fiorentina, dei campionati della Fiorentina, di tutto ciò che ruotava attorno alla Fiorentina.
Ascoltato, seguito, applaudito, anche contestato. In una parola, importante. Di un’importanza che poteva irritare qualcuno, anche qualcuno di noi, ma che Guetta aveva costruito con fatica e con slancio facendo di se stesso una professione.
Come impatto, il peso di una sua frase, il tono di una sua radiocronaca, hanno spesso superato, tra i tifosi viola, quello di molti articoli di giornale. La televisione ha fatto il resto, complicazioni comprese.
Dalla penombra che ho sempre coltivato, non invidio a Guetta quell’esposizione così evidente, ma mi rendo conto che era inevitabile, addirittura indispensabile per il suo lavoro. Né gli ho mai invidiato la frequentazione con Vittorio Cecchi Gori, con Luciano Luna, con Canale 10 .
Un giorno, quando maturava l’ipotesi di un suo passaggio o comunque di una sua collaborazione alla tv padronale, gli consigliai di starne alla larga. Erano i tempi in cui Vittorio, l’intoccabile Vittorio dietro al quale scodinzolava più o meno compatta l’intera città, era all’apice del successo.
“Meglio filippino in casa mia che direttore da Cecchi Gori”, dissi a David. Quelle cose che si dicono così, anche per il gusto della battuta. Tra l’altro il domestico, tanto meno filippino, non l’ ho mai avuto.
Ma essere da Cecchi Gori senza essere di Cecchi Gori deve essere stato un esercizio di alto equilibrismo, come dimostrano i retroscena contenuti in questa sfilata di ricordi. Minacce di licenziamento, ingerenze e, quando è cominciata la contestazione, anche gli insulti dei tifosi.
Se Guetta avesse seguito quel mio consiglio, che risale ai tempi in cui tutti, curve comprese, adoravano Cecchi Gori, forse avrebbe avuto qualche fastidio in meno, forse non avrebbe avuto bisogno, oggi, di ammettere qualche errore. Ma a questo suo lavoro che ci riconduce alla Fiorentina, ai tempi belli e brutti, ma comunque scolpiti nella memoria, della “vecchia” e drammaticamente scomparsa Fiorentina, a questo suo lavoro – e quindi a noi – sarebbero mancati certi episodi che fanno da contrappunto alla colonna sonora dei gol e delle parate, e che- più di mille discorsi – ci danno il senso di “come andavano le cose”.
Basti pensare a Luna che, nella grafica delle previsioni del tempo di Canale 10, suggerisce di mettere un po’ di ombre sulla costa maremmana perché c’è troppo vuoto.
“Mettece ‘na nuvola”. Era così che si tappavano i buchi. Mettendoce ‘na nuvola.
E a forza “de nuvole” arrivò la tempesta.

Sandro Picchi

Ribadisco il concetto: a me pare che ad una settimana dalla Champions non ci sia la dovuta attenzione.
Parlo naturalmente dell’ambiente e dunque di noi che stiamo fuori, perché per quello che succede “dentro” ci fidiamo completamente di Prandelli.
Anche oggi tutta l’attenzione catturata dalla firma di Mutu, domani credo che ci sarà da parlare di mercato, insomma così non va bene.
E’ vero che il 12 agosto è una data balorda per una partita così importante, però sarà bene darci tutti una regolata perché bisognerebbe vincere bene, con un paio di gol di scarto.
Da domani mi metto a studiare la formazione dello Slavia Praga.

Mi è venuto in mente venerdì primo agosto, quando ho pubblicato l’ultimo capitolo de “La mia voce in viola” e ho poi visto il vostro gradimento.
E allora, con l’ok dell’editore Scramasax, ho deciso di regalare tutto il libro via internet, settimana dopo settimana, pubblicando ogni martedì un capitolo e partendo dalle splendide prefazioni di Francesco Toldo, Roberto Baggio e Sandro Picchi.
Esiste un filo conduttore tra quel libro, che resterà unico nonostante il pressing per aggiornarlo e per riscriverne uno nuovo, e questo blog: la mia ritrosia ad entrare in pista.
Nel 2002 mi ero appena sospeso dal mio incarico di responsabile dello sport di Canale Dieci perché mi sembrava giusto pagare le mie “colpe”, che poi erano quelle di aver creduto a Vittorio Cecchi Gori per un anno di troppo, esattamente dal luglio 2000 al luglio 2001 (poi, anche se qualcuno se lo è dimenticato, o ha fatto finta di dimenticarsene, per dieci mesi ho sparato a palle incatenate contro la dirigenza viola dagli schermi padronali).
Avevo rinunciato ad un bel po’ di soldi, non avevo più la televisione, ma un po’ di tempo libero e allora, spinto dall’editore e amico Luca Giannelli, mi feci convincere a scrivere quella era stata la mia avventura dietro la Fiorentina essendo l’unico giornalista che aveva visto in 21 anni tutte le gare in diretta meno quattro partite.
Per eliminare in parte i miei sensi di colpa dovuti ad un’operazione che poteva apparire (ed in parte lo era) di un egocentrismo esasperato, decisi che la metà dei soldi ricavati col libro finissero all’Istituto degli Innocenti di Firenze, che avevo frequentato negli anni ottanta.
Ho spesso scherzato con Carlo Pallavicino, autore di due libri di successo dedicati alla viola e Lucarelli, che ha devoluto tutto in beneficenza perché, come gli ho più volte ripetuto, lui è “molto, ma molto più ricco di me”.
“La mia voce in viola” ha avuto un successo insperato, con oltre cinquemila copie vendute e diverse richieste inevase.
Credo che uno dei segreti sia il cd con i gol storici dal 1985 al 2001, ma questo è un altro discorso.
Col blog è andata più o meno allo stesso modo.
Saverio Pestuggia mi ha martellato per mesi, ma a me sembrava eccessivo avere uno spazio personale su internet ed invece poi sapete come è andata e come sta andando.
Anche in questo caso ha giocato un ruolo importante la “vergogna” per quello che stavo facendo e così ho deciso di accettare solo banner di solidarietà, evitando quelli a pagamento, che pure avrebbero portato qualche soldo in casa Guetta, dove si spende e si spande in larga quantità…
Devo ringraziare, e colpevolmente non l’ho mai fatto prima, Andrea Pasquinucci e la TCC che da quasi tre anni supportano gratuitamente col mio stesso spirito la parte tecnica e grafica del blog.
Da martedì quindi si comincia, buona lettura.

Vorrei rassicurare tutti coloro che sono preoccupati per l’assenza mediatica di Corvino: Pantaleo sta bene, benissimo ed è assolutamente sereno.
Lo potrebbero confermare uno per uno i trenta invitati che ieri sera hanno goduto dei suoi racconti di calcio e di vita.
Poiché era una cena privata non sarebbe corretto rivelare i contenuti di certi discorsi, ma se qualcuno (da Roma) pensava di soffiare sul fuoco di una polemica tra Corvino e i della Valle o tra Corvino e Prandelli, beh, ha proprio sbagliato città e bersaglio.
Serata godibilissima, poi ognuno continuerà a fare il proprio mestiere con onestà, ma ieri sera non sembravamo certo quei due che neanche dieci mesi si becchettavano animosamente in televisione.

P.S. Visto che a molti è piaciuto la riproposizione via internet dell’ultimo capitolo de “La mia voce in viola”, sto pensando ad una piccola sorpresa che tra qualche giorno vi svelerò.

CI SONO (FINALMENTE!) LE RISPOSTE

Ci sono i sorteggi per i preliminari e voglio concedermi un lusso: andare indietro di sei anni, voltarmi per capire quanta strada abbiamo fatto e come eravamo in quei giorni che ancora io non riesco a dimenticare.
Ho preso dal mio libro “La mia voce in viola” l’intero capitolo di quella stagione perché magari i più giovani possano capire come e dove eravamo finiti.
Confesso di non averlo mai riletto per intero dal marzo del 2003, perché mi faceva troppo male.
Ora, almeno per me, forse è possibile.

2001/2002
Non ce la faccio a mettere in ordine razionalmente gli avvenimenti dell’ultimo anno di vita della Fiorentina. Altri lo hanno fatto con dovizia di date e di particolari, io proprio non ci riesco. Posso solo fidarmi delle mie sensazioni, dei ricordi di un’agonia che negli ultimi giorni è stata davvero straziante. E’ ovvio che si sta parlando “soloâ€? di una squadra di calcio, però è come se mi avessero strappato qualcosa dentro, e non solo per i problemi legati al lavoro. Certo, c’era anche la preoccupazione di sapere che fine avremmo fatto con i nostri programmi e le nostre radiocronache, ma quel malessere che sentivo affiorare giorno dopo giorno arrivava da molto più lontano. Era la rabbia per l’impossibilità di fare qualcosa che salvasse quei ricordi tutti in viola che avevo fin da bambino, quei trentacinque anni di stadio e di amore verso una squadra che non era mai stata dei presidenti o dei giocatori, ma solo nostra, dei tifosi che l’hanno accompagnata in tutte queste stagioni. E’ impossibile perdonare chi ha ucciso la Fiorentina, io almeno non lo farò mai.

LO STRAPPO
Finalmente nel giugno del 2001 decisi che ne avevo abbastanza di Cecchi Gori e di tutta la sua banda di tirapiedi che si stavano alternando a Firenze. Con onestà dissi ai responsabili di Canale Dieci che ero ormai giunto al punto di non ritorno e che avrei attaccato continuamente Vittorio, in radio ed in televisione. Presero atto della mia decisione e non tentarono nemmeno di convincermi a cambiare idea. Grazie alla bolgia dantesca in cui era precipitato l’intero gruppo Cecchi Gori, riuscii a sopravvivere senza troppi problemi fino al rocambolesco arrivo alla guida della Fiorentina dell’ex esperto di leasing Sarkis Zerunian, che cercò inutilmente di bloccare i miei attacchi. Dal Ring dei Tifosi sparavo puntualmente contro Cecchi Gori, aspettandomi ad ogni puntata la telefonata di ammonizione o addirittura la soppressione del programma. Ed invece niente, evidentemente anche i vecchi ruffiani del presidente-ex senatore-produttore avevano capito che non c’era più nulla da fare.

FALLIMENTO SI’, FALLIMENTO NO
C’è un antico adagio fiorentino che dice: “fatti un nome, piscia a letto e diranno che hai sudatoâ€?. Ecco, nel mio appiattirmi a tutto ciò che mi raccontava il professor Barucci, non ho fatto altro che seguire questa vecchia massima popolare. Consideravo l’ex ministro del Tesoro e grande tifoso viola la massima autorità in materia finanziaria, e siccome mi aveva detto che finire di fronte al tribunale fallimentare sarebbe stata la nostra fine, ho recepito al cento per cento il suo suggerimento, scatenando una furibonda campagna radiofonica e televisiva contro l’ipotesi del fallimento. Manca certamente la controprova, ma se a settembre il giudice Puliga non avesse “assoltoâ€? dai suoi misfatti la Fiorentina, siamo sicuri che le cose non sarebbero potute andare meglio?

ZIG ZAG
Boicottiamo gli abbonamenti perché in questo modo si aiuta Cecchi Gori.
No, andiamo a fare gli abbonamenti per evitare il fallimento. Stringiamoci intorno a Mancini, perché solo così ci potremo salvare.
Facciamo la guerra a Mancini, che si è scagliato contro Luna, a sua volta è entrato in conflitto con Cecchi Gori, che non vuole più vendere la Fiorentina.
Qualsiasi compratore è meglio di Cecchi Gori, anche Tootoonchi con quattro o, il discusso e discutibile Pulsoni, la catena di orafi aretini di Pupo, la holding lussemburghese di Luna.
E se invece Berlusconi desse una mano al suo amico Vittorio e rimettesse a posto i conti? In fondo chi ha portato a Firenze Batistuta, Rui Costa, Toldo e Chiesa? Due anni fa eravamo in Champions Leagues…
Poveri giocatori, sono rimasti lo stesso a Firenze e non prendono una lira da mesi: dobbiamo solo applaudirli per l’impegno che ci mettono.
Sono solo una banda di mercenari, che pensano unicamente ai quattrini: peggio di così non ci poteva capitare, proprio nell’anno più disgraziato.
Come si fa a non uscire pazzi da questo ping-pong di sentimenti, questo fiume in piena di parole dove tutti si sentivano autorizzati a dire tutto e due giorni dopo il contrario?

MERCENARI
Una cosa comunque è certa, e lo hanno dimostrato un anno più tardi i calciatori delle altre squadre finite in mezzo a crisi finanziaria addirittura peggiori di quella viola: tranne Di Livio e al massimo un altro paio di eccezioni, tutti gli altri giocatori della rosa della stagione 2001/2002 si dovrebbero vergognare per il comportamento tenuto nei dieci mesi in cui invece ci avrebbero dovuto salvare. Con la Fiorentina ancora in serie A, sarebbero arrivati da Stream quei 45 miliardi che avrebbero garantito l’iscrizione al campionato. Sono stati indegni della maglia che portavano e dell’affetto di una città che ha capito troppo tardi a che gioco questi signori stessero giocando. Eravamo così (giustamente) pieni di rabbia verso Cecchi Gori, che non ci siamo accorti di come ci prendessero per il naso. Sparito il 30 settembre Chiesa per infortunio, è sparita tecnicamente la squadra, ma questi atleti (presunti) avevano ingaggi da favola, basta pensare che la Fiorentina era al settimo posto in Italia come emolumenti pagati. Ed invece hanno pensato solo a mettere in mora la società ormai boccheggiante, hanno tirato indietro la gamba, sono stati penosi come uomini. Due di loro, quel fenomeno di Marco Rossi e Nuno Gomes, hanno perfino cercato di far fallire prima del tempo la Fiorentina per cinquanta milioni di premi non pagati. Un altro, il “simpaticoâ€? Morfeo, ha per mesi fatto finta di avere la bua al piede pur di non giocare. Scandalosi tutti, ma qualcuno più degli altri.
Ho un sogno impossibile nel cassetto. Una bella partita della vergogna, con in campo i protagonisti della nostra ultima stagione, una specie di passerella al contrario: il disastroso Amoroso, il supponente sputasentenze Baronio, l’uomo della notte Cois, il sindacalista Vanoli, l’ex umile Torricelli, l’irascibile moviola Pierini, lo “scusatemi, ma ho fatto una scelta di vitaâ€? Adani, il “chi mi tira in porta segnaâ€? Taglialatela, quel fenomeno di Marco Rossi, il portoghese sbagliato e stramiliardario Nuno Gomes, l’inarrivabile Morfeo, l’impomatato Mijatovic (se ce la fa a scendere in campo), il decotto Ganz, il ragazzo prodigio con annesso sito personale Moretti. Per questa storica occasione vorrei anche due allenatori in panchina: il montato Mancini, l’amico di Cecchi Gori, e il grande bluff, cioè Bianchi, magari con Peppinello Pavone (mai presa una responsabilità o un’iniziativa, solo i tanti milioni netti di stipendio) a fargli da degno assistente. Che spettacolo sarebbe sentire il Franchi venire giù dai fischi per questi uomini (ci vuole un certo sforzo a chiamarli così) che hanno finito di ammazzare la Fiorentina.

TIFOSI
Avevano ragione loro, Lodà, Rocchi e Sartoni. C’era magari un po’ troppa fantasia nella loro ricostruzione dei fatti, però era vero che la Fiorentina stava andando verso la rovina. Ci hanno provato in tutti i modi a fare qualcosa, ed è proprio per questo iper attivismo a fin di bene che non ho mai calcato la mano quando hanno commesso alcuni errori. Come tenere fuori Luna dalla contestazione della Fiesole. Mai uno striscione contro chi aveva avuto per nove anni la responsabilità della Fiorentina, possibile che non avesse colpe? Il fatto che nel finale della storia Lucianone nostro si fosse seriamente impegnato per vendere la società gli ha probabilmente restituito una discutibile verginità, ma non tutti hanno capito i motivi del suo “salvataggioâ€?. Una sciocchezza è stata poi aspettare Mancini sotto casa sua alle una di notte. Il tecnico ha poi certamente strumentalizzato pro domo sua tutta la vicenda, ma a quell’ora di solito si va a dormire e non ci si mette a discutere di tattica o si dimissioni.
Comunque sia, l’amore ostinato, e dall’esterno incomprensibile, dei tifosi viola è stato fondamentale per non sparire definitivamente. Senza di loro la Fiorentina sarebbe stata solo un guscio vuoto, al massimo un ricordo struggente per chi come me l’aveva avuta come fedele compagna di tutta una vita.

FARNETICAZIONI TELEFONICHE
9 dicembre 2001, Lazio-Fiorentina all’Olimpico. Tre file sopra la mia postazione è seduta Valeria Marini, tragicamente inviata fissa per “Quelli che il calcio…â€?. Decido nell’intervallo di chiederle se mi rilascia un’intervista, lei prende il telefonino e compone il numero di Cecchi Gori.
«Vittorio, c’è qui un giornalista che vuole parlare con me: che devo fare? … Si chiama Guetta. Sì, va bene, te lo passo».
E comincia così il mio ultimo colloquio con il presidente-ex senatore-produttore.
«David, qui mi hanno tradito tutti, ma ti rendi conto mi hanno venduto Repka e Leandro (sai che perdita!) senza dirmi niente. Mi vogliono ammazzare, ma io so’ più forte di tutti»
«Vittorio, senza le cessioni di Repka e Leandro a settembre la Fiorentina falliva…»
«Ma che fallimento! Ho dei soci pronti ad entrare, mi hanno pugnalato alle spalle, io non volevo vendere nemmeno Rui Costa»
«E con cosa pagavi gli stipendi?»
«I soldi ci sono!!! Ma ora arrivo a Firenze e cambio tutto, mi volevano prendere la Fiorentina per un tozzo di pane, ma te ne rendi conto?»
«Vittorio, e Barucci? Lo hai incontrato?»
«Ma chi caz.. è Barucci? Ma che vuole? Io non voglio vedere nessuno, Mancini ci porterà in Uefa»
«Vittorio, sta per ricominciare il secondo tempo, ti devo lasciare perché vado a trasmettere la radiocronaca»
«Aho, ma dille queste cose alla radio, perché non mi chiami a fine partita? Faccio un intervento e così spiego per bene la situazione»
«Magari alla prossima trasferta, ora ti sento un po’ troppo agitato. Ciao Vittorio».

IL CORAGGIO DI POGGI
Quello di Ugo Poggi è stato l’ultimo serio tentativo di salvare la Fiorentina, peccato che Cecchi Gori stesse ormai affogando nel disastro economico da lui stesso provocato. Il nuovo presidente chiese a tutti con molta umiltà di dargli una mano, «perché solo uniti avremmo evitato il disastro», che lui pensava circoscritto ad una nuova retrocessione. Devo riconoscere a Poggi una grande lealtà nel comportamento con Canale Dieci. In quei pochi mesi di presidenza non mi ha mai fatto pressioni per far cessare gli attacchi all’ex presidente-ex senatore-quasi ex produttore. Quando anche lui gettò la spugna, perché stufo delle continue menzogne di Vittorio, capii che ormai non c’era più nulla da fare. Speravo però che qualcuno potesse intervenire per comprare la Fiorentina o che comunque il “sistema calcioâ€? avrebbe impedito che sparisse per sempre una delle grandi del campionato.

SEMPRE PIU’ GIU’
Occupazione della sede da parte dei tifosi, un pregiudicato riciclato da Vittorio come possibile socio, la marcia dei ventimila tifosi per dire basta alle nefandezze cecchigoriane: che giornate da incubo! A giorni alterni Vespa e Costanzo spiegavano ai loro milioni di telespettatori quanto Cecchi Gori fosse bravo ed incompreso, facendoci passare tutti per imbecilli. Senza dimenticare quel brav’uomo di Carraro, che nel gennaio 2002 certificò come ottimo il bilancio viola, beatificando Vittorio e dicendoci in pratica di non rompere più le scatole. Che schifo.
Poi, improvvisamente, ecco arrivare Zerunian Sarkis ad insegnarci come si doveva vivere. Accanto a lui Bianchi Ottavio, che una volta fallito il compito in panchina centrò, da presidente, l’impossibile obiettivo di peggiorare la situazione. Di loro due, i posteri ricorderanno nei secoli dei secoli un unico gesto significativo: l’accredito sui rispettivi conti correnti degli ultimi sei mesi di stipendio, proprio il giorno prima di essere cacciati dal tribunale di Firenze. Che tempismo! Proprio quello che era mancato quando dovevano chiedere al loro padrone di onorare le cambiali che avrebbero restituito alla Fiorentina gli ormai famosi 72 miliardi “imprestatiâ€? nel 1999. Mancavano proprio Zerunian e Bianchi a completare la galleria degli orrori degli ultimi tre anni viola, ora eravamo definitivamente a posto.

VEDE DOTTORE…
Ma sì, mettiamoci anche un po’ di leggerezza nel raccontare quegli ultimi mesi di dolore. Il professor Fazzini, stimato presidente dell’ordine dei dottori commercialisti, venne scelto dal tribunale per una missione impossibile: salvare la Fiorentina, rispettando la legge. Fu così che un ottimo professionista si trovò per mesi sulle prime pagine dei giornali, intervistato da radio, siti internet e televisioni un giorno sì e l’altro pure. A lui la cosa doveva piacere moltissimo, perché, sempre armato di un sorriso smagliante, non ha mai rifiutato un contatto con i cosiddetti media. E con tutti aveva indistintamente questo intercalare, “vede dottoreâ€?, che fece della strampalata congrega dei giornalisti fiorentini la categoria accademicamente più avanzata d’Italia. Sentii dare del dottore a certa gente che aveva concluso con fatica le scuole medie, principi del congiuntivo dall’italiano improbabile o in alcuni casi impossibile. Mi sarebbe piaciuto che qualcuno glielo avesse fatto notare con discrezione, ma persi ogni speranza quando mi capitò di ascoltare l’ennesima intervista, concessa stavolta nientepopodimeno che a Giorgio Masala.
«Abbiamo qui il professor Fazzini, allora professore ci dica a che punto siamo con le cambiali di Cecchi Gori?»
«Vede dottore…».

ULTIMI GIORNI
Il 30 giugno 2002 passai il pomeriggio in preda ad uno stato di febbrile angoscia: se la Fiorentina non avesse trovato quindici miliardi, avrebbe chiuso lì la sua gloriosa storia. Era la domenica della finale mondiale e non succedeva niente. Finalmente, alle nove di sera, Gianni Ceccarelli mi inviò un messaggio sms per informarmi che Inter, Milan e Juve avevano comprato Moretti e Ceccarelli (il giocatore, non il giornalista) proprio per quindici miliardi. Era la conferma alla mie speranze di salvezza: il “sistema calcioâ€? non ci avrebbe fatto morire!
Seguirono giornate convulse, con tante false notizie e millantatori vari che si accreditavano di volta in volta come possibili acquirenti. Ma io sapevo che i debiti erano così alti che solo Cecchi Gori avrebbe potuto tirare fuori il coniglio bianco ed iscrivere la gloriosa A.C. Fiorentina alla serie B. Il 25 luglio andò deserta l’asta per acquistare la maggioranza della società, quasi una rivincita per Vittorio, la dimostrazione che non c’era proprio nessuno pronto a buttare i soldi per la squadra di calcio di Firenze. Tutti quelli che cercavano solo pubblicità erano spariti, dall’untuoso Repetti agli olandesi volanti, passando per Fratini, che durante un Pentasport avevo implorato in diretta di intervenire. Non restava che lui, Cecchi Gori, l’uomo che ci aveva rovinato e da cui dipendevamo tutti per non sparire.

LA FINE
Gli ultimi giorni di luglio li passai in un crescente delirio di sterile attivismo. Chiamavo almeno due volte al giorno Benedetto Ferrara, in ritiro a Roncegno, nella speranza che lui, informatissimo, mi desse qualche buona notizia. Martellavo continuamente il mitico ragionier Righetti, per sapere qualcosa del famoso bonifico da 22 milioni di Euro che ci avrebbe iscritto al campionato; mi attaccavo al telefono con Lodà, che aveva a sua volta un filo diretto col professor Barucci, riesumato da Cecchi Gori come consulente. Ormai non ero più un giornalista, ma solo un tifoso distrutto che aveva la fortuna di conoscere gente che lo avrebbe informato prima degli altri. Condussi dei Pentasport allucinanti, trasmettendo solo angoscia a chi ci ascoltava. Letizia e le bambine erano al mare, io tornavo la sera a casa e mi buttavo sul divano incapace di qualsiasi iniziativa. Per una settimana mi svegliai continuamente alle quattro del mattino e come uno zombi mi mettevo davanti al televisore in uno stato catatonico. Una volta mi venne quasi da piangere a vedere su Raisat album degli spezzoni della Fiorentina degli anni settanta. C’erano Antognoni e Merlo, con la maglia tutta viola e senza sponsor: quella era la mia Fiorentina, la squadra che quando perdeva rovinava la mia domenica. Come era potuto succedere che stesse per scomparire?
Ogni giorno però il direttore del Corriere dello Sport-Stadio Italo Cucci ci rassicurava che ci saremmo salvati, facendo addirittura passare Cecchi Gori, con cui aveva un contatto diretto, come un martire: vende il cinema Adriano, no, c’è un piano di Tatò, lo aiutano le banche. Una sera, esasperato, feci una sparata terribile contro il sindaco Domenici e l’assessore Giani, colpevoli a mio parere di immobilismo e sostenni il giorno dopo un contraddittorio proprio con Giani, che spiegò agli ascoltatori come invece lui ed il sindaco avessero tentato (inutilmente) di percorrere ogni strada possibile. Aveva ragione, ed è proprio a Domenici e Giani che tutti i tifosi viola devono qualcosa se non ci hanno seppellito definitivamente il giorno della morte della vecchia Fiorentina.
Il 30 luglio riuscii a ricordarmi di essere ancora un giornalista e realizzai lo scoop della banca colombiana che aveva mandato un fax in Fiorentina per assicurare l’arrivo dei soldi. La mia fonte era sicura e perciò sparai la notizia, che venne immediatamente ripresa da tutte le testate nazionali. Era l’ultimo penoso bluff dell’ex presidente-ex senatore-ex produttore, una cosa talmente ridicola che ci sarebbe stato da ridere, se non fosse stato per la gravità del momento.
Il 31 luglio mattina Lodà e Sartoni mi assicurarono che tre bonifici erano partiti da tre banche diverse per coprire i 22 milioni di Euro necessari per iscrivere la Fiorentina al campionato. Eravamo quasi fuori tempo massimo, ma in Federazione avrebbero aspettato anche l’ultimo secondo pur di non escluderci. Fu una giornata terrificante, passata al telefono a farci coraggio: arrivano, stanno per arrivare, le banche chiudono tra pochi minuti e dei soldi non c’è traccia, non arriva più niente. Speravo ancora in un colpo a sorpresa di Vittorio, tipo lui che si presenta a Roma con l’assegno in mano proprio mentre la Fiorentina sta per essere spedita in Eccellenza. La mazzata finale me la dette alle 20.30 Leonardo Bardazzi, che mi chiamò dalla redazione fiorentina di Stadio: “Cecchi Gori ha appena chiamato Cucci e gli ha detto che si arrende, che non porta i soldi, che tutti lo hanno tradito”.
Maledetto! Dieci, mille, un milione di volte maledetto! Ci hai rovinato, hai ucciso un amore vero solo per le tue pazzie, ci hai tenuto in ostaggio negli ultimi due anni, ci hai costretto nell’ultimo mese ad uno stato di febbrile angoscia che è stato quasi peggio della mancata iscrizione. Maledetto, non ti perdonerò mai.
Dormii tre ore quella notte, e quando mi alzai alle sei del mattino del primo agosto guardai allo specchio la mia faccia stravolta. Mi dissi: ora basta, dobbiamo ripartire. Dovevo condurre una diretta lunghissima, la più difficile trasmissione della mia vita e non potevo permettermi di comunicare agli altri la mia angoscia. Avremmo ricominciato anche dall’Eccellenza, avremmo fatto vedere al mondo di che cosa sono capaci i fiorentini, come successe con l’alluvione nel 1966. Arrivai a Prato e cominciai a parlare…

« Pagina precedente