Attualità


Non puoi essere normale se nasci ebreo e non importa se, come nel mio caso, non esiste nessun vero legame religioso con la fede dei tuoi genitori perché si tratta di qualcosa di casuale.

Essere ebrei significa sentirsi diversi da subito, perché ti insegnano la grande sciocchezza (secondo me) di appartenere al popolo eletto, cioè essere qualcosa più degli altri, condizione che ovviamente non ti rende proprio simpatico agli occhi del mondo, ma questa cosa la capisci (se la capisci) solo un bel po’ di decenni dopo la tua venuta al mondo.

Ti insegnano che Israele è più e meglio di tutto e di tutti, che lì sono ganzi qualsiasi cosa facciano, compreso come trattano i palestinesi, e che il mondo ti è debitore per la tremenda tragedia (questa purtroppo terribilmente vera) della Shoah.

Insomma, esci a quattordici anni  dalla scuola ebraica con un lavaggio del cervello completo e sei pronto ad immolarti dialetticamente contro chiunque.

Poi, se hai qualche neurone che gira correttamente nel cervello, aggiusti con molta fatica il tiro capendo molto altro e cominciando ad avvertire la fatica di sentirsi diverso, quando invece ti senti assolutamente un italiano uguale agli altri.

Ascolti con fastidio i soliti stereotipi: gli ebrei si aiutano sempre tra loro (una balla totale), gli ebrei sono i più abili nel commercio (vera a metà e motivata dal fatto di essere quasi sempre in fuga e quindi dal doversi arrangiare), gli ebrei cercano sempre di sposarsi tra loro (questa è in gran parte vera per i credenti) e altro ancora.

Le prime volte controbatti, poi ti arrendi e lasci parlare, tanto sono luoghi comuni così radicati che combatterli è tempo perso e provi piuttosto a guerreggiare con quel senso di persecuzione che ti accompagna, e non potrebbe essere altrimenti, fin da quando capisci qualcosa.

A volte vinci e a volte perdi, è la vita.

Ecco, ho provato a spiegarvi cos’è un ebreo laico che da sempre sogna la creazione di due Stati (Israele e Palestina) a pochi giorni dalla Giornata della Memoria.

…eppure credo di essere uno che legge molto e cerca di informarsi parecchio.

Non sapevo che nel 2004 Roberto Saviano fosse tra i firmatari per l’appello in favore di Cesare Battisti.

E’ qualcosa di strabiliante, alla rovescia: aveva 25 anni ed era quindi abbondantemente nell’età della ragione, chissà cosa gli è passato per la testa.

E ancora: possibile non abbia mai sentito il bisogno di recitare un mea culpa mediatico, perché di idiozie ne facciamo nella vita, ma dovremmo avere la coscienza di chiedere scusa, soprattutto quando ti ergi a campione di moralismo e su quello costruisci la tua fortuna mediatica ed economica.

 

E a proposito di giornalisti, oggi compie 50 anni Francesco Selvi, l’ex ragazzo che 26 anni fa cominciò con me a cercare di farsi strada e che oggi è diventato un fior di professionista.

E’ stato inviato alla 7, splendido direttore di RTV38, adesso è un battitore libero che lascia spesso il segno con i suoi servizi.

Il raggiungimento della cifra tonda mi fa pensare al tempo che passa, ma anche all’affetto con cui l’ho seguito e alla stima che ho per lui, tanto da cedergli per due giorni l’opinione alle 6.50 del mattino a Radio Bruno.

E, insieme a pochissimi altri, Francesco è una delle poche persone di cui mi fido, un vero e proprio hombre vertical.

E’ un po’ come il coraggio per Don Abbondio: se non ce l’hai c’è poco da fare, proprio non ci arrivi.

La storia dei due ministri che accolgono Battisti, dandogli in pratica l’importanza di un Capo di Stato, è veramente triste e viene da pensare a cosa avrebbero dovuto fare i governanti dell’epoca quando presero il bandito Giuliano o Salvatore Riina.

In questo deserto comportamentale sta uscendo fuori sempre più pulita l’immagine del Presidente del Consiglio, che non è stato eletto dal popolo, non ha mai fatto politica nella sua vita precedente, non ha alle spalle potentati economici, ma almeno è stato dotato da madre natura di uno stile che lo colloca sempre più in alto rispetto alla stragrande maggioranza di quelli che governano con lui.

Il vice sindaco di Trieste che getta in un cassonetto le coperte di un clochard e orgogliosamente riprende tutto a favore di Facebook segna personalmente il punto di non ritorno per ciò che sento verso il genere umano.

Chili e anni di melassa buonista propinatami/ci dalla sinistra hanno fatto crescere in me imbarazzanti germogli salviniani, oltre all’insopportabile prosopopea sinistroide che vuole gli illuminati sempre i migliori di tutti.

C’è però un limite al cinismo, agli italiani che vengono prima di tutto, all’egoismo sdrucciolo che abbiamo tutti quanti, e quel limite con quella coperta gettata via con totale sprezzo del genere umano è stato varcato.

Quel clochard rimasto senza qualcosa che lo coprisse può essere italiano o straniero, non lo so e non mi interessa.

Mi è però venuto in mente che quel clochard avrei anche potuto essere io, se non avessi avuto la forza e la fortuna di “tenere” economicamente e psicologicamente dopo una separazione con tre figli che nella stragrande maggioranza dei casi è uno tsunami che si abbatte sulla parte maschile.

E non mi sarebbe affatto piaciuto se il vice sindaco della città che mi ospitava mi avesse privato dell’unica mia difesa dal gelo di questi giorni: dopo mesi di celodurismo, bisogna ricominciare a mettersi nei panni degli altri, facendo tesoro degli errori del passato.

Tutti noi maschi abbiamo lasciato e siamo stati lasciati e sto parlando ad un’ipotetica platea che va dai trent’anni in su.

Ognuno nel secondo caso reagisce a modo suo, seguendo le proprie inclinazioni, ma esiste un minimo comune denominatore che deriva dall’imprinting maschile: il senso del possesso, quella cocente frustrazione per la perdita di qualcosa che è stato nostro, una deriva esistenziale a cui le donne giungono (per fortuna) in misura nettamente inferiore alla nostra.

Una donna che ci lascia ci pare una sconfitta senza scampo, una retrocessione in serie B causata da marchiani errori arbitrali, qualcosa di aberrante che necessita di rivincita e vendetta.

Difficilmente analizziamo i motivi della fine della storia, molto spesso reagiamo con una violenza verbale,  a volte fisica, una violenza che i migliori di noi contengono nel cervello di cui ci hanno dotato (leggete a questo proposito l’ultimo bel libro di Francesco Piccolo).

Mai però avevo sentito o letto di minus habens che avevano messo il guinzaglio alla compagna da cui stavano per essere lasciati, il tutto ovviamente dopo le consuete botte inflitte con la criminale consapevolezza che è un diritto picchiarla perché il “bene” di tua proprietà sfugge di mano.

E’ successo a Napoli, ma temo che potrebbe accadere ovunque, oppure qualcuno ha davvero messo altre volte la catena ad una donna e non è stato scoperto o denunciato, e a questo punto mi pare inutile ogni ulteriore commento.

Sarò più buono nel 2019?

Molto difficile, perché più buono di così…

Confesso una certa difficoltà nello stilare un memorandum per l’anno che tra poco va ad iniziare: qualcosa ovviamente non è andato come avrei voluto, le paure per le persone che amo ci sono sempre, ma se dovessi lamentarmi del 2018 sarei veramente un ingrato.

Sono stati dodici mesi molto intensi, pieni di lavoro, di soddisfazioni e con una luce accecante ad ottobre.

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà, io mi sto preparando e questa è la novità…auguri a tutti voi.

Certe sensazioni sono dentro di noi, le puoi sonmergere di dolore o di rabbia, ma vivono lo stesso anche se nemmeno immagini che esistano.

La pienezza di questo mio Natale è particolare,   unica: niente viaggi particolari o spese pazze, solo la condivisione di sentimenti. Quelli autentici, non di facciata.

Si sta chiudendo un anno fondamentale della mia vita, un anno che ha aperto un capitolo affascinante di un cinquantottenne nel pieno (si spera…) della maturità.

E qui mi fermo, augurandomi davvero che anche voi possiate vivere questi giorni con la mia stessa intensità e serenità.

 

Come sta andando la rincorsa per il Natale?

Certo, il campionato aiuta a non pensare solo a quello e poi temo che molti di voi abbiano problemi importanti che certo non inducono a farsi contagiare dal suggestivo clima delle feste.

Per chi ama la Fiorentina il risultato di domani sarà umoralmente importante, a me piace comunque pensare soprattutto alla serenità che i prossimi giorni porteranno nelle nostre vite.

Personalmente da un po’ di tempo ho smesso di fare i bilanci e anche di guardare al recente passato, compreso lo tsunami che ho attraversato e che mi ha reso profondamente diverso, regalandomi una vita migliore.

Sto pure perdendo un po’ della mia famosa (tra gli amici) memoria, un dono/condanna per cui ho sempre avuto ben chiaro nella testa cosa stessi facendo in un certo periodo della vita e vi assicuro che non è proprio una fortuna possederla: non ricordare tutto, anzi dimenticare un bel po’ di cose, aiuta a rilassarsi.

E’ presto per farci gli auguri e questi sono giorni di regali, però spero con tutto il cuore che vi stiate preparando nel giusto modo a condividere le prossime ore con chi amate.

Ho sempre creduto nell’educazione e nella correttezza e non ho mai considerato lo stadio un luogo in cui si potessero dire o fare cose che nel resto del nostro vivere quotidiano sono vietate.

Ho sopportato molto, poi ad un certo punto ho detto basta e per questo ho deciso di muovermi supportato da un giovane avvocato che sta scalando la vetta del successo e che la pensa come me su chi insulta o minaccia, Mattia Alfano.

A lui vanno tutte quelle pratiche che non porteranno un euro nelle mie tasche, ma che aiuteranno le associazioni che hanno bisogno di fondi per andare in soccorso di chi ha veramente bisogno.

Mattia Alfano devolverà quanto percepito per le spese legali in beneficenza.

L’ultimo genio in questione è tal Dario, che mi ha dato di servo e altro ancora: ci stiamo muovendo per la querela e quanto riusciremo a prendere andrà alla Lega Italiana Fibrosi Cistica, sezione di Firenze.

Continuate pure con le vostre frustrazioni, in fondo aiuterete chi sta peggio di voi.

 

P.S. Per tutti coloro che mi accusano di esagerare nella querela e altre considerazioni su beneficenza: sarebbe bastato che Dario avesse avuto l’umiltà di scrivere chiedendo scusa e ammettendo di aver sbagliato. La querela può essere ritirata in qualsiasi momento. Dario non ha fatto niente, evidentemente perché convinto del suo pensiero.

Il babbo fascista di Di Battista e quelli non proprio tagliati per gli affari, per usare un eufemismo, di Renzi e Di Maio.

Mi viene in mente una canzone di Shel Shapiro, “Ma che colpa abbiamo noi?”.

So per esperienza diretta cosa significhi avere un padre imbarazzante, poi certo bisogna vedere come e quanto i figli e le figlie siano coinvolti nelle disavventure dei propri genitori, quanta sia la loro partecipazione, sia emotivamente che nei fatti.

Mai come in questo caso va comunque ricordato che nessuno sceglie la famiglia in cui nascere, quelli ti sono capitati e quelli  ti devi tenere, per tutta la vita.

A me questa storia del nero della famiglia Di Maio sembra una quelle ventate di moralismo peloso che proprio non sopporto, un po’ come il bunga-bunga di Brerlusconi e mi parrebbe molto più interessante ed importante giudicare oggi come ieri chi ci governa in base a quello che realizza e non realizza.

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