Stamani voglio parlare di un’altra Viola, Isabella, di 34 anni, mamma di quattro figli, morta di fatica seduta su una panchina della metropolitana di Roma.
Di fatica e di dolore, perché non vedeva futuro, perché il marito non lavorava e perché sul domani dei suoi bambini vedeva solo nuovole nere.
Io che passo molto tempo della mia vita interiore a riflettere su cosa fare per Valentina, Camilla e Cosimo, a come mettere loro la strada in discesa, sono stato colpito come da uno schiaffo quando alla radio stamani ho ascoltato questa notizia.
Nella mia testa e nel mio cuore non c’è più stato spazio per altro che per tutte le Isabella del mondo, donne (molte più donne che uomini) che consumano la propria esistenza inseguendo una banale e irraggiungibile idea di normalità.
Isabella Viola si alzava tutte le mattine alle 4, impiegava un tempo lunghissimo per andare a lavorare (e chi se la poteva permettere una macchina?), poi tornava a casa e cominciava ad “inseguire” i quattro figli, oltre (immagino) a sopportare la depressione di un marito disoccupato.
E qui mi fermo per rispetto perché non è neanche giusto entrare nelle vite degli altri, ma urlare che non è possibile morire di fatica e di stenti a Roma (come a Milano o Firenze) a 34 anni, nel pieno della vita, questo si può fare.
Anzi, lo dobbiamo fare, oltre a dedicare almeno cinque minuti della nostra giornata a chi sta peggio di noi.