Ad un certo punto ho fatto un fermo immagine: ho bloccato lo schermo su Carletto, come l’ho sempre chiamato dai tempi del Duca d’Aosta, che intervistava Elton John e ho fatto un salto indietro di quasi quarant’anni, forse ispirato dalle mie ultime vicende personali.
E ho rivisto questo ragazzino vispo come pochi che mi dava una mano ad organizzare il primo giornalino del Duca, e poi ancora dopo, quando girava per le discoteche e per le scalcagnate radio fiorentine con un sorriso che è identico a quello che ormai conoscono tutti gli italiani.
Si è fatto un mazzo così Carlo Conti: conosco benissimo la sua storia perché fino a vent’anni fa è stata parallela alla mia, lui nello spettacolo ed io nel giornalismo, solo che è molto più bravo di me e si merita tutto il successo che sta ottenendo.
Ogni volta che lo vedo sulle copertine dei giornali oppure a fare la prima serata in Rai provo una soddisfazione che mica è troppo comune nel nostro mondo.
Carletto è la dimostrazione che la meritocrazia in questo Paese qualche volta paga, che non è sempre necessario essere figli di, amanti di, raccomandati da per arrivare dove si desidera arrivare e questo credo che sia professionalmente la cosa a cui tiene di più.