Mi succedeva in trasferta.

A Milano quasi sempre, a Roma qualche volta, a Napoli e spesso (non so perché, forse per via dello stadio diviso in piccoli palchi in sala stampa) a Bergamo: una quarantina di minuti prima di iniziare la radiocronaca, mi soffermavo sul percorso della mia vita, alle tante speranze che avevo di diventare giornalista ed ero molto soddisfatto della grandissima fortuna che avevo nel commentare la Fiorentina.

La stessa cosa mi è accaduta ieri verso le 14 nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, ad un livello ancora più alto.

Stavo mettendo a punto gli ultimi dettagli per l’evento dedicato ad Alessandro Rialti, quando all’improvviso ho sentito il bisogno di sedermi sulla poltroncina predisposta sul palco.

Ho osservato rapito il Salone, ho pensato a dove eravamo, “alla storia che era passata per quei muri” e all’enorme onore che avevo per poter stare lì davanti ad un centinaio di persone con un microfono in mano e il pensiero è stato: “che grandissimo culo è stato per me essere nato a Firenze”.

Non me ne voglia chi non è nato nella mia città, ma davvero è difficile da comprendere quello che proviamo noi che abbiamo avuto questo privilegio, di cui ogni tanto ci approfittiamo fino a diventare quasi insolenti col prossimo.

Poi mi sono girato e già scorrevano le immagini di Alessandro con i grandi e meno grandi che abbiamo visto passare in viola negli ultimi quarant’anni e sorridendo mi sono detto: “che grandissimo culo è stato aver conosciuto ed essere diventato amico di Rialti”.