E che non solo non l’abbiamo cambiato, ma lo abbiamo pure peggiorato climaticamente e che soprattutto rischiamo di lasciare ai nostri figli la mancanza di prospettive, che è poi la peggiore delle condanne.

Se mi chiedevano all’età di Cosimo (13 anni) cosa avrei voluto fare da grande, la risposta era semplice: il giornalista, sempre e solo quello.

Ancora non lo sapevo, ma ero un fortunato, perché avevo una missione, uno scopo nella vita, e non mi sono mai scordato i tanti anni spesi in mille rimbalzi in un mondo che non mi voleva accettare: benedetti quegli anni, anche se vissuti con tanta rabbia e angoscia.

E come me migliaia, decine di migliaia di coetanei che volevano fortemente qualcosa: un mestiere, una professione, salire nella scala sociale, rivoluzionare la società per creare un mondo più giusto.

E adesso?

Abbiamo conquistato il benessere, certo chi più e chi meno, e ne siamo follemente gelosi. Siamo diventati sentimentalmente avari. Abbiamo messo la vita dei nostri figli in discesa, tanto da eliminare dalla loro vita qualsiasi ostacolo, pensiamo a tutto noi: come credevamo che diventassero se non impauriti dal perdere quel tanto che hanno avuto senza fare il minimo sforzo?

Mi dichiaro colpevole del reato di mollezza educativa e come me, se siete onesti, ce ne sono tantissimi della nostra generazione di cinquanta/sessantenni: volevamo cambiare il mondo per farlo diventare più giusto e siamo riusciti a renderlo solo più comodo.