La loro sfortuna è che non fosse stato convocato l’uomo che non ha letto la storia, Christian Abbiati.
Quello a cui fino al 1938 il fascismo andava bene così, tout court, perché i treni arrivavano in orario e c’era poca confusione in giro.
Scelta di tempo e luoghi inevitabile quella dei fascisti italiani, che seguono la Nazionale un po’ per spirito di patria e molto perché lì non esistono gli ostacoli, anche all’interno del tifo organizzato, che hanno le squadre di club.
Il tempo è quello dello sfascio, della paura innescata dall’ultima crisi economica (che mi auguro azzeri i guadagni di tanti speculatori che giocano sulla nostra pelle).
Nel marasma mentale e nelle crisi di panico di alcuni può darsi che affiori l’ipotesi dell’uomo forte, quello che “non c’è da preoccuparsi” e che nasconde quelli che secondo molti sono escrementi sociali (poveri, extra-comunitari, insomma, i diversi) sotto il tappeto dell’ordine imposto ad ogni costo.
Il luogo è quello di un ex Paese comunista, abituato alla dittatura, dove l’idea del pugno di ferro è ancora ben dentro la testa di tanti.
Una vergogna annunciata quella dei fascisti italiani, così vicini ai loro cugini nazisti, perché nulla regala visibilità come il calcio ed infatti anch’io oggi, nel mio piccolo, sto parlando di questa gente, ma davvero non si può più fare finta di ignorarli.