A me non era mai capitato di trattenere le lacrime allo stadio, nanche nel novembre scorso, nel minuto di raccoglimento per ricordare Manuela Prandelli.
Mi sono salvato perché ero in diretta, salvato per modo di dire perché non sta scritto da nessuna parte che un uomo di 48 anni non debba piangere.
E anzi, se noi maschi dessimo un po’ più spesso libero sfogo alle nostre emozioni forse il mondo andrebbe meglio.
Roberto vestito di viola che spinge la carrozzina di Stefano è una botta al cuore, quei primi piani sul maxi schermo, il tempo che si è fermato nei volti dei grandi campioni di ieri (a proposito: grazie Milan, grandissimo!).
Su Baggio mi piace credere che ci sia qualcosa di molto particolare: entro stranamente in ritardo allo stadio, cioè solo 75 minuti prima, e lo incrocio mentre si sta infilando negli spogliatoi.
Ci abbracciamo dopo una vita che non ci vediamo ed è veramente come racconto spesso a Valentina e Camilla: è stato ed è uno dei pochi che regala emozioni.
Poi, nel caos del dopo partita, provo a dare la linea a Russo, ed è proprio quando sta uscendo Roberto inseguito da tutti.
Fabio gli urla che vorrebbe fare un’intervista per la radio di Guetta e lui si ferma…
Su Stefano non voglio e non posso aggiungere altro a quello che ho scritto stamani per il Corriere e quindi, per una volta (scusatemi…), ripropongo il mio articolo perché racconta di quello che ho provato ieri pomeriggio.

Il “ciao David” mi arriva improvvisamente dritto al cuore dalla voce metallica del sintetizzatore. Me ne stavo defilato, accanto ad Amerini e dietro ad Orlando e Roggi, che scherzavano, ma fino ad un certo punto, sul prossimo impegno sociale, un’amichevole tra Italia e Turchia a Istanbul per raccogliere fondi contro la SLA. “Ho cinquemila malati con me”, scrive con gli occhi al computer Stefano. “Dobbiamo farla, sta organizzando tutto Terim”, lo sprona Roggi. “Partiamo subito”, è la risposta che spiega più di tante altre cose la sua voglia di combattere. Mi sposto di mezzo metro e mi infilo timidamente dentro il suo campo visivo. Sono passati più di sedici anni dall’ultima volta che ci siamo visti: io sono invecchiato, lui no. Davvero, è sempre uguale. La malattia gli è entrata da dietro con un tackle da espulsione, ma il viso e soprattutto gli occhi sono quelli che mi ricordavo, sono quelli dei suoi vent’anni. Mi riconosce subito e mi saluta. Non
sapeva che sarei andato a trovarlo per regalargli il contributo audio di tanti suoi amici del calcio e anche il racconto originale dei suoi indimenticabili gol all’Inter e alla Juve. Dieci secondi di emozione pura e poi tutto diventa fluido. Si ride e si scherza come se la “stronza” (così Stefano chiama la SLA) non avesse mai bussato alla sua porta. La vittima designata è Orlando, lui lo esalta sinceramente: “eri fortissimo, avresti dovuto giocare 60 partite in Nazionale”, io lo smonto, “guarda che ti sbagli. Era bravissimo, è vero, ma soprattutto fuori dal rettangolo verde”. Massimo ride e risponde alle battute. All’inizio era quasi commosso, imbarazzato, poi anche a lui sembra del tutto normale stare lì a giocare con l’antico compagno. Nella camera di ospedale ci sono anche due vecchi amici, uno è Aurelio Virgili, il figlio del grande Pecos Bill. Nella vita sarebbe uno stimato uomo di affari, che si occupa di finanza, ma ora è vestito da
calciatore della Fiorentina e accudisce Stefano come se fosse uno dei suoi figli. In disparte rimane Amerini. Fu Borgonovo a suggerire all’amico Pallavicino di prenderne la procura, quando Daniele era poco più di un ragazzino. Non sa come entrare nel discorso e allora lo aiuto: “Guarda Stefano che ora scendiamo ancora di livello calcistico. Dopo essere passati da te ad Orlando, ora ci sarebbe pure Amerini…”. Risate e intanto le infermiere cominciano a spazientirsi: troppa confusione. Poi Stefano diventa serio e si preoccupa: “Ma quante persone ci saranno stasera?”. Gli risponde Virgili: “Beh, io ho chiamato i parenti, Moreno, Massimo e David hanno qualche amico, forse a due-trecento ci arriviamo”. Quando gli diciamo che ne arriveranno almeno venticinquemila, Stefano sorride: “Cazzo, bisogna fare bella figura”. Gli suggerisco che con lui in campo la Fiorentina non ha mai vinto contro il Milan, ma se lo ricordava benissimo da solo. “Lo so – risponde –
ci proveremo stasera, abbiamo Orlando, che è fortissimo”. Poi ci buttano fuori, ma con Stefano non finisce qui, il prossimo appuntamento è a casa sua, a Giussano.

SUL GIORNALE DELLA TOSCANA DI OGGI CI SONO DELLE BELLISSIME PAROLE DI BATISTUTA PER STEFANO
BENE, SONO MOLTO CONTENTO E SE POI CON LE MIE PUNZECCHIATURE HO SOLLECITATO L’INTERVENTO LO SONO ANCORA DI PIU’
GRAZIE QUINDI ANCHE A GABRIEL