Scriviamo un messaggio o mandiamo una mail e ci scatta immediatamente un riflesso condizionato: fra quanto ci risponde?

Non esistono più le pause di riflessioni e non parlo certo di quelle che si chiedono in un rapporto di coppia e che di solito hanno un nome e un cognome…

Penso alla velocità e dunque anche alla frenesia in cui ci muoviamo, quell’assenza di tempi morti che ci pare un’offesa ingiustificabile.

Non mi pensa? Non mi considera? Le mie quotazioni professionali sono in calo? Avrò rotto le scatole e per questo non mi risponde? Ho fatto male a scrivere?

Penso spesso a come funzionava fino a qualche tempo fa e la mente corre con un filo di nostalgia agli anni dell’adolescenza, fino ad arrivare al 1990, quando apparvero i primi telefonini, croce e delizia dei nostri tempi.

Ricordo l’attesa del postino per vedere se mi arrivava la lettera che aspettavo, oppure quelle telefonate serali in cui monopolizzavo l’unico apparecchio disponibile per litigate e riappacificazioni che si chiudevano con un clic.

Niente messaggi successivi per puntualizzare, aboliti i puntini di sospensione che vogliono dire tutto e niente, nessuna attesa spasmodica di risposta veloce.

E se pensavi alla parola selfie, l’unica cosa che ti veniva in mente era il posto dove si andava a mangiare, il self service, in cui avendo poche lire in tasca si spendeva meno.

Siamo proprio sicuri che si vivesse peggio?