Quanto sbagliamo, quanto sbaglio nella loro educazione?
Me lo chiedo ogni volta che un pensiero, una decisone, mi porta come un riflesso condizionato a pensare al rovescio della medaglia: se avessi fatto nell’altro modo, forse sarebbe stato meglio e lui/lei avrebbe avuto quei vantaggi (e ovviamente degli svantaggi, ma quelli nella testa arrivano dopo).
Ho capito con un bel po’ di ritardo che educare i figli è un vero e proprio “lavoro”, nel senso che non puoi affidarti solo all’istinto e all’amore che ti scoppia dentro e che poi, almeno nel mio caso, declini quasi sempre nella tenerezza.
No, bisogna metterci la testa.
Non farsi travolgere emotivamente, perché i figli ti chiedono dei no, anche se non te lo dicono esplicitamente, anche se si incazzano di brutto quando li contraddici o metti dei divieti.
Vanno al muro contro muro, ma alla fine vogliono un genitore sopra di loro, non un loro pari, un amico con cui solo scherzare o, peggio ancora, confidarsi reciprocamente i segreti.
L’altro aspetto fondamentale è l’esempio: tu puoi raccontare loro ciò che vuoi, farti bello con le parole, ma se la tua vita trasuda di falsità, di disonestà intellettuale o materiale, se ti sei comportato come mai vorresti che i tuoi figli si comportassero, puoi essere certo di esserti giocato per sempre la loro stima.
L’amore no, è un’altra cosa, è fisiologico e dura: non si spiegherebbe altrimenti l’attaccamento di tanti figli a genitori che non meriterebbero niente per quello che hanno fatto e che invece sono cercati lo stesso.
E’ durissima, una battaglia che almeno personalmente vivo con grande dispendio di energie e con molti conflitti interiori, ma è anche la cosa migliore che ti poteva capitare da quando sei nato.