Se un giorno mi smontassero pezzo per pezzo, secondo me troverebbero che c’è qualcosa di costruito alla rovescia e Londra ne è la dimostrazione più lampante.
Mi spiego: dato ormai per ufficiale che il mio senso dell’orientamento è molto pericolosamente (per gli altri) vicino allo zero e che di conseguenza la mia passione per la geografia (vedi alla voce Egitto) è contigua a quella di Salvini per gli immigrati, per uno dei misteri del cervello umano io a Londra mi oriento meglio che in qualsiasi città italiana, escluso Firenze, ma in alcuni giorni particolarmente stressanti non ne sarei neanche così sicuro di questa supremazia cittadina.
La spiegazione che mi sono dato è molto elementare: a Londra gira tutto all’incontrario rispetto a casa nostra ed avendo un infallibile fiuto per prendere nell’incertezza sempre la direzione sbagliata (ho una percentuale di realizzazione del 95%, meglio di Bob Morse nella vecchia Ignis), io in quella magnifica città mi trovo benissimo.
Forse è anche il fatto di esserci stato ormai almeno una dozzina di volte e devono essere questi i motivi per cui Valentina e Camilla che da domani mi accompagnano non sono troppo preoccupate e anche Letizia ha la fondata speranza che riconduca i tre quinti della famiglia a Grassina in tempi utili per la cena di sabato sera.
Certo, rimane sempre l’incognita della lingua e su questo punto dolente le mie figlie amano dilettare amici e conoscenti su delle perle del sottoscritto assolutamente uniche.
Io ribatto di aver perfino sostenuto un esame di inglese all’università, omettendo però il senso di pietà ed incredulità suscitato nel professore, che si trovò di fronte uno scritto strepitoso (tutto copiato), mischiato ahimè ad orripilanti strafalcioni nella conversazione: le va bene un 20, con annesso un metaforico calcio nel fondo schiena purché si levi subito da lì?
Preso, incartato, portato a casa e ringraziato per i decenni successivi.