Delio Rossi è stata la più grande delusione degli ultimi anni viola.
Più di qualsiasi giocatore perché ci eravamo tutti illusi che potesse davvero far girare la ruota all’incontrario rispetto alla triste parabola che stava seguendo la Fiorentina del dopo Prandelli.
Lo avevamo invocato nell’estate del 2011, fidandoci dei risultati ottenuti e soprattutto dell’idea di gioco che aveva fatto vedere a Palermo, Roma e Bergamo.
Eravamo tanto nauseati dalla conduzione societaria e tecnica di quelle stagioni che ne avevamo fatto il nostro eroe senza conoscerlo neanche un po’.
Delio Rossi ha deluso come allenatore, ma ancora di più come uomo: non si è mai voluto mischiare con Firenze, quasi non toccasse a lui essere l’allenatore di una squadra che è inscindibile con la città.
Aveva avuto un atteggiamento simile all’inizio anche Malesani, ma aveva qualche buon motivo visto che si calava da esordiente nel mondo dei grandi, con Bati, Rui Costa, Toldo e gli altri.
Poi Alberto ha capito e negli ultimi tempi fiorentini era già un’altra persona.
La sua tristezza nelle conferenze stampa è diventata dopo qualche settimana spocchia: noi, intendo come giornalisti-tifosi, non potevamo, non riuscivamo a capire, non eravamo in grado.
Poi è arrivato il capolavoro di un uomo stressato: la scazzottata con Ljajic e il dopo è stato ancora peggio del gesto infame, che ci ha sputtanato in tutto il mondo.
Quella pretesa di virilità (“sarei stato più furbo se avessi regolato i conti nello spogliatoio”), le scuse mai chieste per davvero, la convinzione di essere stato nel giusto a menare un proprio giocatore: tutti questo per me è stato peggio delle botte del 2 maggio 2012.
Lo dobbiamo accogliere con somma indifferenza, un bluff che abbiamo subito insieme a tante altre vicende spiacevoli e triste del biennio maggio 2010-maggio 2012 e da cui siamo miracolosamente riemersi.