Sono un ebreo con ben poche radici: non osservo neanche un precetto e ho da sempre le idee piuttosto confuse su quello che succederà quando ci chiameranno dall’altra parte.
Uno dei sentimenti più terribili dell’essere nati ebrei è quel senso di ineluttabilità che ti entra nell’anima fin dai primi anni di vita.
Ti raccontano che “siamo” stati spesso perseguitati, per tantissimi anni emarginati, alla fine sterminati in sei milioni e tu cresci con dentro questo fatalismo tragico, questo senso della catastrofe che ti accompagnerà sempre nel corso della tua vita.
Poi c’è l’antisemitismo, dichiarato o strisciante con cui non sai mai bene come confrontarti, cosa dire e cosa fare.
E se prendi fuoco quando uno stronzo che passa per guru dell’ambiente viola ti minaccia con “ebreo di merda, vengo lì a staccarti la testa”, poi non sai mai come reagire quando senti le battute sulla taccagneria o altro.
Ridi?
Controbatti?
Col tempo ti si forma dentro una specie di corazza, ma molle, quasi gelatinosa, che magari assorbe i colpi senza però respingerli.
Ecco perché non reagisci come dovresti (cioè ti dovresti incazzare di brutto) anche quando leggi di un attentato ad una scuola ebraica nella vicina Francia.
Dai la cosa come possibile in questa vita, perché ormai siamo (sono) abituati a tutto, soprattutto al peggio.
Ma quando senti che questi bastardi sono stati capaci di inseguire una bambina di otto anni, che scappava terrorizzata, ed ucciderla in una spietata esecuzione, allora riesci a svegliarti dal sonno del “tutto visto” e ti viene da piangere.