Christian Riganò rappresenta il nostro servizio militare.
Chi ha “servito” la patria sa a cosa mi riferisco: quando sei lì, sotto le armi, tutto ti sembra assurdo ed insopportabile.
A distanza di anni, quei mesi declinano il loro sapore amaro in dolcezza, la dolcezza della nostalgia e di quando eri giovane.
Ecco, Christian Riganò ci ricorda i tempi impossibili del Poggibonsi e del Gubbio, l’unico sopravissuto di un gruppo tanto improbabile per noi abituati ad Antognoni e Batistuta quanto utile.
Lo confesso, ogni volta che entrava in campo in serie A con la maglia viola io mi identificavo in Riganò, speravo facesse qualcosa di memorabile a dispetto di una tecnica non straordinaria.
Era insomma come se giocassi anch’io, lo sentivo vicino proprio perché lui più di tutti ci ha ricordato che uno su mille ce la fa davvero, come ce l’abbiamo fatta noi (grazie anche a lui) a tornare velocemente su.
Una persona umile, che l’improvviso benessere non ha cambiato di un centimetro, uno con cui ti potevi confrontare anche aspramente, ma sempre guardandolo fisso negli occhi.
Un grande.