Momento imbarazzante e molto bello ieri sera nel Pentasport: è accaduto con Alberto Malusci, il “giovane” Malusci, quando gli ho ricordato del suo addio a Firenze nell’agosto del 1996.
Quella sua fuga da uno spogliatoio di provincia, quell’addio frettoloso a dieci di vita, di speranze, gioie e dolori.
Alberto è tornato indietro nel tempo, come in un transfert ha rivissuto le emozioni di quel giorno e non è più riuscito a parlare perché gli salivano le lacrime agli occhi.
Sono andato avanti da solo per un paio di minuti ed è stato per me bellissimo vedere come la Fiorentina sia qualcosa che ad alcuni è rimasta dentro l’anima.
Non importa cosa si è vinto o quanto si è guadagnato, ci sono uomini passati da Firenze che danno a quella maglia un significato che va oltre la professione.
Penso prima di tutto ad Antognoni, quando venne organizzato il suo saluto al calcio, e poi all’addio di Rui Costa davanti alla maratona, alla fuga di Toldo nello spogliatoio all’ultima gara al Franchi, al pianto liberatorio di Batistuta, quando segna la terza rete contro il Venezia nel giorno dell’addio.
Grande Alberto, quel pianto trattenuto a fatica vale più di tanti otto in pagella.