CAPOCLASSE
Non sono mai diventato giornalista a tempo pieno, ma ho in compenso traghettato verso la professione un discreto numero di aspiranti cronisti. Come direbbe Sandro Picchi, uno dei pochi che mi abbia davvero insegnato qualcosa, anch’io “ho fatto i miei danniâ€?. Ho così scoperto nel tempo una vena da talent scout che non avrei mai immaginato di possedere. Il primo vero “discepoloâ€? fu Luca Speciale, che nel giugno del 1992 si dichiarò “pronto a lavare i pavimenti per terraâ€? pur di entrare nella redazione di Radio Blu. Nessuno gli ha mai dato in mano lo spazzolone ed il cencio, ma piuttosto qualche consiglio ed una fiducia totale, ripagata fino a quando non gli ho fatto incontrare qualcuno più importante di me. Mi è andata molto meglio con Francesco Selvi, una specie di fratello minore, che non mi ha mai deluso. Speciale e Selvi, sono stati regolarmente assunti e adesso lavorano in una televisione nazionale. Poi ci sono i più sfortunati, cioè quelli che sono arrivati troppo tardi sulla scena e che hanno trovato tutte le caselle occupate. Penso ad un talento come Niccolò Ceccarini, ad Ilaria Masini, a Leonardo Bardazzi, a Valentina Conte, ad Ernesto Poesio. Tutti ragazzi che in un Paese normale, con regole di accesso alla professione normali, farebbero “normalmenteâ€? i giornalisti e che invece si sbattono ogni giorno per raccattare alla fine del mese, sette, ottocento euro, quando va bene. Il fatto è che non esistono vie di mezzo: se sei assunto tutto ti è dovuto, altrimenti sei veramente sulla strada e devi addirittura ringraziare chi ti fa scrivere articoli e condurre trasmissioni pagandoti cifre ridicole. A pensarci bene non è del tutto esatto affermare, come ho fatto in precedenza, che il giornalismo è un mestiere da puttane, perché almeno le signore in questione incassano per i loro servizi cifre molto più consistenti.

FRAMMENTI DI UN DISASTRO
Il frullatore della memoria ha selezionato nel tempo alcune fotografie del primo crollo viola. Il gol di Branca dopo nove secondi ad Udine. Una radiocronaca trasmessa da Ancona con trentanove di febbre. Le reti in fuorigioco di Savicevic a Milano. L’ammonizione di Batistuta per aver esultato dopo il gol di Fiorentina-Brescia e poco dopo la sua espulsione. La partita a porte chiuse a Verona contro il Cagliari, vinta in rimonta col batticuore. La prima rete contro di Baggio a Torino e il susseguente esonero di Agroppi. Il dolore e la stanchezza di Mario Cecchi Gori a Bergamo, dopo la sconfitta fatale. Gli inutili tentativi del Torino di farci segnare in una partita che con dirigenti più scaltri poteva essere “giocataâ€? meglio. Ed infine il giorno che ogni fiorentino non potrà mai dimenticare: il 6 giugno 1993. La retrocessione.
Quel pomeriggio mi fece una gran pena vedere Mario e Valeria Cecchi Gori andarsene via dallo stadio scortati dalla polizia, neanche fossero stati dei delinquenti. Lui era bianco come un cencio ed impaurito, lei piangeva. Sono sicuro che nessun tifoso avrebbe mai alzato un dito contro di loro, al massimo ci sarebbe stata qualche fischio. Quella domenica c’era spazio solo per il dolore di essere finiti in B, un dolore quasi fisico, che ognuno viveva a modo suo. Tornai a casa distrutto, mi buttai sul divano e dissi a Letizia che era tutto finito, che con la Fiorentina in B anche le mie radiocronache e le mie trasmissioni non avevano più senso. Distrattamente mi misi a guardare le immagini della domenica e solo allora mi resi conto del bel regalo di Carnevale e della Roma: avevano graziato l’Udinese, mandandoci con loro massima goduria all’inferno.

TU SSSPARA
Il lunedì dopo la retrocessione mi invitarono al “Processo del lunedìâ€? e per uno strano gioco di rifiuti e veti incrociati mi ritrovai ad essere l’unico giornalista fiorentino presente in studio. Mentre ero a mangiare nella mensa della Rai, si avvicinò Biscardi. «Tu sei Guetta, vero? Bene, non avere paura, tu ssspara tutto quello che ti vieni in mente. Ricordati che rappresenti Firenze!!». Figuriamoci se mi lasciavo scappare l’occasione. Ero incavolato nero per la B e per niente emozionato per il fatto di andare in prima serata in tutta Italia. Feci il diavolo a quattro con punte di populismo perfino imbarazzanti. Urlai a piena voce che volevo rivedere alla moviola il tiro moscio di Carnevale a porta vuota e, naturalmente, non venni accontentato. Polemizzai pesantemente con il presidente del Cagliari Cellino e sbottai in un roboante «siete tutti d’accordo!», che mi fece sentire per un attimo un arruffapopolo televisivo collocabile a metà strada tra Sgarbi e Vittorio Cecchi Gori. A fine trasmissione, ero esausto e nemmeno feci caso ai complimenti di Biscardi. Niente in confronto alle ovazioni fiorentine del giorno dopo. Ero in tribunale per la prima udienza della separazione e mi ritrovai a firmare autografi, mentre l’avvocato cercava di darmi gli ultimi suggerimenti qualche minuto prima del combattimento che si sarebbe tenuto senza esclusione di colpi davanti al giudice Sebastiano Puliga, lo stesso che otto anni più tardi si sarebbe occupato del fallimento della Fiorentina.