1996/97
Formidabili quegli anni, formidabili davvero. Ci sono i soldi e ci sono i sogni. Ranieri sa ormai come gestire Cecchi Gori: gli dice sempre di sì e poi agisce come gli pare. Una nuotata insieme nel mare di Sabaudia per farsi suggerire che Robbiati avrebbe dovuto sempre giocare e due palleggi col piccolo Marietto, che «da grande diventerà il bomber della Fiorentina». Che gioia e che rifrullo di gente importante intorno al senatore, nel frattempo rieletto senza nemmeno ricorrere ai resti. E anche a Canale Dieci si pensa in grande, ormai è tutta una frenesia per andare a Telemontecarlo, dove ci sono più inviati e capiredattori che giornalisti semplici. Se poi stipendi e rimborsi spese sforano il budget, pazienza, qualcuno provvederà. Ci sono anche deliri di onnipotenza fiorentini di piccoli giornalisti che si sentono candidati al premio Pulitzer. «Torna subito qui – urlò uno di loro al povero Selvi uscito a comprare l’inchiostro per la fotocopiatrice – ma ti rendi conto che non ho più nessuno sotto!». Erano in due in redazione.
Sono i tempi della ciliegina e del Ciclone. Rita Rusic diventa la donna più intelligente del cinema mondiale, il marito la guarda languido ed orgogliosamente pensa: «in fondo l’ho creata io. Sono molto meglio di Berlusconi, che ha pure perso le elezioni>. Hai ragione Vittorio, sei tu il più grande, spendi per noi e vai felice in balaustra.

LA PRESENTAZIONE
Ogni tanto però qualcuno in Fiorentina pensava bene di risparmiare qualcosa e così a luglio decisero che la presentazione ufficiale per la nuova stagione l’avrei fatta io. Gratis, naturalmente. Poco dopo aver detto di sì, ripensai con terrore ai tempi delle elementari, quando mi vergognavo moltissimo a recitare le poesie davanti ad una trentina di bambini. Ora avrei avuto davanti almeno diecimila persone dentro lo stadio e non potevo sbagliare. Certo, avevo dalla mia l’esperienza radiofonica e televisiva, ma con tutta quella gente in curva Fiesole era davvero tutta un’altra cosa. Preparai la scaletta nei minimi particolari e, grazie soprattutto all’entusiasmo generale dopo la vittoria in Coppa Italia, venne fuori una bella giornata, anche perché evitai lungaggini che avrebbero stancato la gente. L’unico momento di imbarazzo fu quando presentai Robbiati, che si prese una sonora fischiata perché non voleva rinnovare il contratto con la Fiorentina. Rientrando negli spogliatoi provai inutilmente a consolarlo.

IRINA TE AMO
La verità è che a San Siro non mi sono assolutamente accorto del grido d’amore di Batistuta per la moglie, dopo il secondo decisivo gol nella Supercoppa italiana. Ero troppo impegnato ad urlare, non mi sembrava possibile che si potesse battere il Milan stellare di Baggio e Savicevic. In quella partita Gabriel ci prese per mano e ci portò in Paradiso. Tutti si ricordano della punizione e della dichiarazione ad Irina, ma secondo me il primo gol è stato ancora più bello. Quel dribbling aereo su Baresi e la susseguente botta al volo sono roba da palati sopraffini, e nel rivedere l’azione il capitano del Milan deve aver pensato per la prima volta in carriera di essere arrivato al capolinea. Fu una serata eccezionale: il 25 agosto 1996, il giorno prima del settantesimo compleanno viola.

LA GIACCA E’ MIA!
Proseguivano intanto con molte sconfitte i miei settimanali combattimenti per cercare di avere gli ospiti in televisione. Il fatto che Canale Dieci fosse di proprietà della madre del presidente della Fiorentina non era un vantaggio, ma al contrario costituiva un’aggravante per i giocatori viola. «Ma cosa ci dai? Come? Solo questo?». Conclusi un’estenuante trattativa collettiva con i “rappresentanti delle maestranze” Padalino e Carnasciali, e mi accordai sulla base di un kit composto da un radioregistratore, una cassetta della Cecchi Gori home video ed un buono per due cene.
Ogni tanto capitava che gli sponsor chiamassero i giocatori per l’inaugurazione di nuovi punti vendita ed io, che ormai ero del “ramo”, sapevo come districarmi tra omaggi e “marchette”. Una volta, per un cliente di Scandicci, ebbi però la pessima idea di inserire tra gli invitati anche Giovanni Piacentini. Al termine della serata, lui e Cois ottennero in omaggio un buono per un vestito, ma Piacentini era palesemente deluso e mi chiese se non si sarebbe potuto fare qualcosa in più. Lasciai cadere la cosa pensando che fosse finita lì, ma qualche giorno dopo mi capitò di incontrarlo da Mastrobulletta, il ristorante dove andavano a mangiare quasi tutti i calciatori viola. Testimone attendibile del dialogo, Nick Ceccarini.
«Allora David, hai sentito da quel negozio di Scandicci se mi dà qualche altra cosa?»
«Ma… Giovanni, veramente mi sembrava che un buono da un milione fosse sufficiente per il disturbo»
«E dai, che se vuoi ci riesci. Ecco, per esempio, questa bella giacca che hai addosso… Non si potrebbe avere una cosa del genere?»
«Giovanni, se vuoi ti do la mia! Provala, credo che ti stia larga, ma se ti andasse bene, prendila pure. Tra l’altro non piace nemmeno a mia moglie»
«No, è troppo grande, dai impegnati per una taglia più piccola. Fammi sapere qualcosa in settimana».
Caro vecchio Piacentini: ti ho pensato intensamente quando due anni fa Letizia mise la mia bellissima giacca marrone fra gli indumenti da regalare in beneficenza.

LULU’
Fu l’acquisto di grido di un mercato giustamente in tono minore: la squadra andava già bene così e non c’era bisogno di stravolgerla. Con lui arrivarono anche Falcone, Pusceddu e, nonostante il Ring dei Tifosi, Firicano. A febbraio, grazie ai soldi de “Il Ciclone”, la ciliegina Kanchelskis. Luis Airton Barroso Oliveira adesso è un tranquillo signore con ben cinque figli (un record nella categoria dei calciatori e non solo), che spende i suoi ultimi spiccioli di classe in giro per l’Italia, ma quando arrivò a Firenze era convinto di aver finalmente dato una svolta alla sua carriera. Aveva segnato quindici reti nell’ultimo anno di Cagliari e avrebbe voluto fare l’attaccante, ma si trovò sempre davanti Batistuta e Baiano. La sua ottima tecnica si annacquò quindi nelle rincorse sui portatori di palla avversari e alla fine Ranieri lo schierò addirittura come laterale di centrocampo.
Fuori dal tappeto verde Lulù era uno spettacolo: sempre allegro, l’unico modo per farlo arrabbiare davvero era ricordargli il suo passato ed il suo presente da cascatore. Altrimenti aveva ben chiaro da dove veniva e la povertà che lo circondava da bambino, per questo non faceva mai pesare la sopraggiunta agiatezza. E anche quando Edmundo gli fece la guerra, Oliveira disarmò il “nemico” con qualche battuta, ma senza cattiveria. Il suo finale a Firenze fu piuttosto triste. Se ne andò quasi di nascosto, a novembre, nel secondo anno del Trap, dimenticato un po’ da tutti. Come si dice a scuola per quei ragazzi simpatici, intelligenti e un po’ svogliati: avrebbe certamente potuto fare di più, ma non fu solo colpa sua.