SFORTUNA E PAZZIA
Mancano pochi minuti alla fine di Fiorentina-Milan, partita deludente sia per lo spettacolo che per il pareggio. Batistuta cade pesantemente in un ripiegamento difensivo, e andrebbe sostituito. Ma Gabriel dice che se la sente di continuare ed il tecnico si fida ciecamente del suo campione. Un minuto più tardi Bati si accascia mentre sta correndo accanto a Sala. In radiocronaca prendo un abbaglio e pretendo la seconda ammonizione per il difensore del Milan, che invece non ha nemmeno sfiorato Batistuta. I primi referti parlano di almeno due mesi di assenza ed escono proprio mentre Edmundo è nella sala d’attesa dell’aeroporto di Roma, pronto a partire per Rio de Janeiro.
E’ una pazzia: ma come, Bati è out e l’unico in grado di sostituirlo se ne va a ballare la samba in Brasile? Cecchi Gori dice che è giusto così, che era un impegno preso personalmente da lui e formalizzato sul contratto del brasiliano. Io non capisco e non mi adeguo. Qualche tirapiedi di Vittorio vorrebbe mandarmi in video a sostenere le esternazioni presidenziali. Mi oppongo e allora chiama direttamente il presidente-senatore-produttore per “invitarmi” a cambiare idea.
«Guarda Vittorio, che io ho attaccato in radio la Fiorentina su questa scelta. Se presento lo speciale con te, posso solo ribadire la mia posizione»
«Può giocare Robbiati con Oliveira…, lo dice anche Trapattoni»
«Ma dai, lo sai benissimo anche te che non è la stessa cosa. E’ stata un’enorme sciocchezza aver fatto partire Edmundo, pensa alla reazione dello spogliatoio per questo trattamento preferenziale. Una società seria si sarebbe opposta».
Batistuta tornò dopo appena trentacinque giorni, ma non fu lui per almeno un altro mese e gli andò già bene a non farsi male di nuovo. La Fiorentina era intanto scivolata al secondo posto, mentre Edmundo veniva a malapena sopportato dai compagni. Che occasione sprecata.

L’AVVERTIMENTO
Il dottor commercialista Andrea Parenti ha rappresentato per anni la mente più lucida del gruppo Cecchi Gori, forse avvantaggiato dal fatto di essere solo un consulente esterno e di potersi quindi permettere di dire a Vittorio le cose come stavano. Andrea era uno di quelli (pochi, davvero pochi) che sapeva mantenere la parola data. Nell’aprile del 1999 ci trovammo quasi per caso a Canale Dieci (che deve a lui gran parte della propria autonomia finanziaria) e mi sparò a bruciapelo una domanda che mi lasciò senza parole: «che farebbero i tifosi se vendessimo Batistuta, Rui Costa, Edmundo e magari anche Toldo?».
«Credo che ci sarebbe la rivoluzione. Cecchi Gori ha promesso lo scudetto e se Vittorio vende i campioni la gente scende in piazza. Ma perché me lo chiedi?»
«Perché, se continua così, la Fiorentina rischia di non iscriversi al campionato».
Ero abituato a trattare con Parenti anche sulle ultime diecimila lire di rimborso spese e per questo considerai le sue parole assolutamente eccessive, una specie di sfogo per i troppi soldi che circolavano nel calcio. Tra l’altro stavano per arrivare i miliardi della televisione a pagamento, che aveva finalmente trovato con Stream l’alternativa a Tele Più. La Fiorentina era nel gruppo delle grandi e si parlava di un mega-contratto televisivo: come poteva Parenti pensare a certe cose?

CHAMPIONS LEAGUES
La stagione del possibile scudetto si concluse con terzo posto finale, a ben quattordici punti di distanza dal Milan, incredibilmente Campione d’Italia. Nel finale ci eravamo avvitati come nei peggiori anni di Ranieri, con appena cinque punti in cinque partite. Nell’ultima inutile gara di Cagliari Trapattoni mandò in campo Torricelli ancora non al meglio della forma dopo un infortunio, e il suo pupillo si ruppe definitivamente dopo neanche venti minuti. Non sapevamo se essere soddisfatti per l’ottimo piazzamento o rammaricati per aver perso ancora una volta la possibilità di vincere lo scudetto. Poteva essere l’anno giusto, con Juve e Inter in crisi nera, la Roma alle prese con il problema Zeman e la Lazio travolgente ma discontinua. In fondo avevamo preso quattro punti su sei al Milan, ma avevamo dovuto sopportare l’infortunio di Batistuta e la partenza di Edmundo. Al momento decisivo, Cecchi Gori non tirò fuori i soldi per rinforzare l’organico e già quello poteva essere un segnale che qualcosa non andava come ci stavano raccontando. A gennaio era infatti arrivato solo il modesto Ficini, che diventò suo malgrado il simbolo di quello che poteva essere e non è stato.

LA RIVINCITA DI MALESANI
Eravamo finiti in finale di Coppa Italia quasi senza accorgercene. Quella stessa coppa che tre anni prima aveva trascinato una città intera in una notte di festosa follia, adesso valeva meno di un piazzamento in Champions Leagues. Personalmente però ci tenevo moltissimo a vincerla perché l’altra squadra finalista era il Parma del mio “amico” Malesani. Quando Batistuta al Tardini pareggiò il gol di Crespo, a otto minuti dalla fine, andai nell’esultanza ben sopra le righe. Credevo che il più fosse fatto e già pregustavo la rivincita nei confronti del tecnico veronese nella gara di ritorno.
Il Parma ci fece a pezzi nella mezz’ora finale, con una tale dimostrazione di potenza che qualsiasi ulteriore commento risulterebbe superfluo. Perdevano due a uno e ci misero ai paletti con un forcing degno del miglior Milan di Sacchi. Qualcuno rimproverò a Malesani la troppa esultanza al momento della premiazione, ma che avrebbe dovuto fare? Fingersi costernato perché la sua vecchia squadra aveva perso la Coppa Italia? Via, non facciamo gli ipocriti. O almeno, non fino a questo punto.