ADDIO MARIO
Sapevamo che stava male, ma non così male. La morte improvvisa di Mario Cecchi Gori fece capire una volta di più come Firenze fosse una città assolutamente straordinaria. In fondo era stato il presidente della prima retrocessione dopo sessanta anni e Agroppi invece di De Sisti lo aveva scelto lui, ma la gente lo amava lo stesso. Tutto merito della sua bonaria sincerità, che lo avvicinava al ceto popolare dal quale proveniva. Gli inderogabili impegni milanesi di Filippo Grassia mi catapultarono la sera del 5 novembre 1993 a commentare la scomparsa del presidente dalla “sua” televisione. Il giorno successivo ero un po’ agitato perché avrei dovuto coordinare il lavoro di un gruppo di persone che di tv sapeva poco o niente. Di solito sono fissato con la puntualità e mi catapulto allo stadio almeno con un’ora e mezzo di anticipo, fra l’ironia dei colleghi e la sopportazione di chi viene con me. E’ una mania che mi porto dietro da oltre vent’anni e con l’invecchiare peggioro. Quella domenica avrei voluto essere in piazza Santa Croce – dove sarebbe stata esposta la salma del presidente – fin dalla mattina, ma mi feci convincere da Letizia (“ma quanta gente vuoi che ci vada?”) a pranzare alla solita ora. Mai scelta si rivelò così sbagliata. Trovai una folla enorme, mi feci largo a furia di gomitate e mi presentai in chiesa appena cinque minuti prima dell’arrivo della bara. Luna era inferocito e ruggì in romanesco qualcosa di incomprensibile e di sinceramente poco adatto al luogo. Lo calmammo con un filmato tutto dissolvenze realizzato da Franco Boldrini, un “Ciao Mario” che chi ha lavorato in quegli anni a Canale Dieci non può aver dimenticato, perché fu programmato almeno una trentina di volte nei due mesi successivi.
Qualche ora dopo il ruggito di Luna realizzai un piccolo scoop, riuscendo ad intervistare in contemporanea Vittorio Cecchi Gori e Giampiero Boniperti, il presidente della Juventus, solitamente molto restio a presentarsi davanti alle telecamere. Il servizio andò in onda sul TG sportivo nazionale della Rai, senza che fosse annunciato chi fosse l’autore: un grande smacco per uno che, come mi ricordava spesso Sandro Picchi, avrebbe firmato anche le lettere anonime.

NOTTE IN BIANCO
Quanta fiele ho inghiottito nei nove anni di Canale Dieci e quante notti insonni! Adesso mi dico che sono stato proprio un bischero a prendermela tanto, ma il carattere è quello e non si cambia. La prima volta che minacciarono di cacciarmi fu nel dicembre 1993, grazie al contributo indispensabile del dottor Paolo Giuliani, il nuovo direttore generale, arrivato non si sa come in viola. Tutto, come spesso accade in queste circostanze, fu frutto del caso. Eravamo appena scesi dall’aereo ad Ascoli, e al momento del collegamento con la radio mi trovai accanto a Furio Valcareggi. Era il procuratore di Malusci, che il giorno dopo sarebbe andato in panchina per far posto a D’Anna. Lo feci intervenire, pensando a delle normali dichiarazioni. Non so bene cosa gli fosse passato per la testa, fatto sta che Valcareggi junior cominciò a sparare a zero contro la Fiorentina, accennando anche ad imprecisate minacce fisiche che erano arrivate sia a lui che a Malusci. L’Ansa rilanciò l’intervista e all’ora di cena, mentre stavo per addentare le prime fantastiche olive ascolane, mi chiamò l’esimio dottor Giuliani.
«Che casino hai combinato con la tua radio di mer…! Ma io ti faccio cacciare da Canale Dieci! Tu sei fuori, capito, tu sei fuori!!! Non ti presentare mai più!». La logica perversa di Giuliani era la seguente: Furio Valcareggi aveva parlato male della società a Radio Blu, di cui io ero il direttore, per questo me ne dovevo andare da Canale Dieci. Fantastico. Senza contare che Giuliani con Canale Dieci non c’entrava niente. Mi attaccai al telefono con mezzo mondo, ma quasi tutti quelli dell’entourage viola si negavano o rimanevano nel vago. Col complesso di persecuzione ereditato dai miei avi e che mi porto dietro da sempre, mi sentii perso: ero caduto in disgrazia ed il mondo mi odiava senza che ci fosse un vero perché. Grassia da Milano mi tranquillizzò, dicendomi di non preoccuparmi, ma passai lo stesso la notte in bianco.
Alle sette del mattino svegliai l’intera famiglia Fanetti. Paolo mi assicurò che nel tardo pomeriggio ci sarebbe stato un incontro chiarificatore con Luna. Beccai dall’imperatore una paternale ridicola, tutta basata sul tradimento della fiducia che mi era sta concessa. Non replicai, anche perché ero distrutto da una giornata di grande tensione. Arrivò anche la tremenda punizione: ad Ascoli non avrei realizzato le interviste del dopo la partita, sai che roba. Incontrai Giuliani allo stadio di Ascoli: mi salutò come se non fosse mai successo niente e mi parlò del programma viola della settimana successiva. Quando nel giugno successivo (lui) venne finalmente cacciato dalla Fiorentina, offrii da bere a tutta la redazione.

RIMOZIONE
E’ strano a dirsi, ma di quell’anno in serie B mi sono rimaste impresse soprattutto le sconfitte, specialmente quella di Ascoli e di Brescia, dove l’agente di polizia penitenziaria Cardona fischiò quattro rigori in novanta minuti. Le vittorie diventarono quasi un atto dovuto, molto belle furono quelle di Palermo, perché alla prima giornata, e Bari, con un gol di Banchelli a tempo scaduto. Speravamo di lavare l’onta della retrocessione con la Coppa Italia, ma venimmo eliminati dal Venezia, che aveva già fatto fuori la Juve. Nella gara di ritorno avevamo allestito un collegamento con la signora Valeria Cecchi Gori, vedova da poco più di un mese. Volevo sapere se era tutto a posto, ma dallo studio non davano segni di vita e dopo un minuto di silenzio, pensando di essere in pre-ascolto, sparai un’imprecazione da osteria che venne ascoltata dall’allibita (immagino) signora Cecchi Gori e dal resto del popolo viola sintonizzato su Radio Blu.
Fu in quella stagione che assistemmo all’unica sostituzione tecnica in viola di Batistuta: contro il Verona in casa, Ranieri osò toglierlo per far posto a Zironelli, che poi segnò la rete del vantaggio. Gabriel negli spogliatoi disse che andava bene così, prima veniva la squadra e poi il singolo. Quando arrivò la matematica promozione, nessuno fece festa e la cosa turbò molto i nuovi arrivati che non avevano nessun “debito” da pagare. Non si poteva dar loro torto, ma bisognava aver vissuto lo strazio dell’estate prima per capire lo stato d’animo dei tifosi.

TELEFONATA E NUVOLE
Interno di casa Guetta, più precisamente il salotto. Metà aprile 1994, ora di cena, suona il cellulare.
«A Gue’, so Luna, ma che caz… di domande vai a fa’ a Ranieri?»
«Scusa Luciano, ma a quale domanda ti riferisci?»
«Che me lo sta anche a chiede? Sei andato a domandargli se rinnova o no il contratto per l’anno prossimo!»
«E allora? Se lo chiedono tutti, noi facciamo un telegiornale e chi ci guarda vuole sapere»
«Tu quelle cose lì non gliele devi domandare, hai capito?»
«Ma perché?»
«Perché no, e basta»
«Guarda che se ricapita, io glielo richiedo»
«Vaffanc…».
Grande indimenticabile Luna, l’uomo che fece stare in casa per un week-end di primavera del 1994 quei poveri toscani della costa che seguivano Canale Dieci. Era infatti appena arrivato un nuovo sistema computerizzato per il meteo e Lucianone nostro sembrava felice come un bambino perché potevano essere utilizzati tanti bei simboli, comprese le saette dei temporali. Peccato che per il giorno successivo fosse previsto tempo splendido in tutta la regione. Luna si corrucciò per un attimo e poi ebbe la pensata geniale. «Aho – disse all’attonito tecnico – qui c’è troppo vuoto, mettiamo delle nuvole da qualche parte. Ecco, qua a sinistra, vicino al mare, ci stanno bene. E anche qualche saetta». Indimenticabile.

L’ORLANDO FURIOSO
Al suo quarto bidone in radio mi arrabbiai di brutto e sparai a zero contro Massimo Orlando, che, lo seppi dopo, stava vivendo un periodo difficile. Per me la cosa era finita lì, ma dopo pochi giorni venni convocato dall’ormai ex enfant prodige viola. E’ interessante a questo punto ricordare come, dopo una prima disastrosa esperienza, la Fiorentina per anni non abbia avuto un addetto stampa, ognuno faceva quello che gli pareva, giocatori e giornalisti. Orlando mi disse che non mi picchiava perché non voleva rovinarsi ed io pensai tra me e me che tutto sommato avrei tranquillamente potuto reggere la scazzottata. In compenso minacciò che mi avrebbe fatto cacciare da Canale Dieci: ma allora era una fissazione! Dissi che andava bene, che aspettavo la lettera di licenziamento e me ne andai. La settimana dopo mi chiamò direttamente Vittorio Cecchi Gori. Con una calma insolita per lui, mi spiegò che io ed Orlando dovevamo andare d’accordo perché «eravamo due colonne della Fiorentina e quindi dovevamo per forza fare pace». Riparlai con Orlando solo nel settembre del 1995, al ritorno dalla sua esperienza poco felice al Milan. Ritrovammo in cinque minuti il vecchio affiatamento e per anni è stato uno dei miei più affezionati ospiti salva-trasmissione, cioè quei personaggi che i tifosi vedono volentieri e che puoi chiamare anche il giorno prima. Non un amico, ma quasi.